La crudeltà sospinta fino a limiti inconcepibili è divenuta raffinato strumento di guerra, oggetto di calcoli sofisticati. Contribuisce a renderla efficace il sistema mediatico attraverso cui viene propagata, con sinistri riferimenti ai film dell’orrore con cui ci eravamo desensibilizzati: nel caso della decapitazione di James Foley, giornalista statunitense di 40 anni, da due anni prigioniero dei miliziani sunniti dell’Is, purtroppo è tutto vero. Compresa la messinscena per cui il povero Foley indossa la divisa arancione dei prigionieri di Guantanamo.
La trappola degli assassini è dichiarata: vogliono al tempo stesso intimidirci e renderci crudeli come loro. Ma soprattutto vogliono assumere l’egemonia sull’insieme del mondo arabo che ne subisce la forza spietata. La risposta più nobile è quella dei genitori di Foley che umilmente ricordano ai carcerieri l’impotenza degli ostaggi e dunque l’inutilità del loro gesto. Oggi più che mai è l’islam moderato a dover levare la sua voce contro questo abominio.