Il diario veneziano del cinefilo Alberto Alfredo Tristano/5

domenica, 31 agosto 2014

Venezia 71 dovrebbe erigere una statua alla famiglia Seidl: di bronzo, di gesso, foss’anche di cera. Perché il grande Ulrich e la consorte Veronika Franz hanno portato, separatamente, i due film più sorprendenti della mostra. Ulrich ha presentato il documentario “Im Keller (In the Basement)”, Veronika l’horror familiare “Ich seh Ich seh (Goodnight Mommy)”, firmato con Severin Fiala. Premessa: la coppia è austriaca e pertanto è freudianamente orientata alla ricerca sugli incubi, i sogni, le ossessioni, le perversioni.
La metafora fin troppo chiara di questo viaggio nelle profondità sono le cantine, i “basement”, raccontati da Seidl. Cosa nascondono le cantine degli austriaci? Pupazzi a forma di neonati, terribilmente uguali ai neonati veri tanto che a vederli dormire nascosti nei cartoni ti assale un senso di nausea insopprimibile; stanze della dominazione per coppie sadomaso, dove lei è padrona e tiene lui appeso per i testicoli a una carrucola della servitù; quadri e uniformi dell’austriaco Hitler, beniamino di suonatori alcolizzati; animali imbalsamati di tutte le foreste del mondo; cobra nutriti con topi… “In The Basement” è un quadro della paranoia contemporanea annichilente: quel che colpisce è la capacità di Seidl di far raccontare da questi strani, normalissimi personaggi le proprie ossessioni, i segreti della loro cantine, gli angoli nascosti del loro privato, domestico e interiore. Seidl si conferma uno dei massimi autori europei, dotato di uno stile immediatamente distinguibile, di una poetica da “cinema della crudeltà” che lo pone tra Artaud e Bernhard.
Ulrich non è dietro la macchina da presa ma produce “Ich seh Ich seh” di Franz&Fiala. Gemelli, madri, padri assenti: Freud. I due fratellini giocano nei campi, arriva la madre reduce da un’operazione al viso, lei parla solo con uno dei due, è fin troppo dura nei rimproveri, al punto da fomentare la loro reazione. Perché si convincono che lei non sia la vera madre. Lampi ben dosati evocano la verità del finale, davvero bello, di questo studio sull’orrore familiare. Dotato di tutti i crismi per diventare un cult-movie, questo piccolo grande film dimostra la vitalità del genere, capace di funzionare come prezioso carburante drammaturgico: dovremmo tenerlo presente un po’ di più anche noi in Italia.
Di genere, tutto diverso, è “3 Cours” del francese Benoit Jacquot. Siamo in pieno melodramma, dove i tre cuori sono i vertici di un triangolo sentimentale giocata tra un uomo e due sorelle. Film basato sulle polarizzazioni (sorella-sorella, Parigi-provincia, America-Francia) racconta di come un uomo si innamori di una donna e poi (a sua insaputa) della sorella senza riuscire a sopprimere il primo sentimento. Splendidamente girato, con una colonna sonora che è sempre caratteristica primarie dei melodrammi migliori (Lelouch, il grande Lelouch è forse l’ispirazione principale), e un ottimo cast: il bravissimo Benoît Poelvoorde, Chiara Mastroianni e Charlotte Gainsbourg, più Catherine Deneuve che è la mamma delle due.
Viggo Mortensen è invece la migliore qualità di “Loin des hommes”, una sorta di western algerino ambientato negli anni Cinquanta del Novecento, tra la guerriglia nazionalista e la repressione francese. Mortensen è un Gary Cooper nel deserto d’Africa, già comandante dell’esercito e ora maestro elementare, vedovo, che scorta un giovane algerino che deve essere giudicato per un omicidio di una connazionale. Attraverseranno la violenza che già insanguina il Paese, costruendo tra gli spari un’area di dialogo e di amicizia. Col sapore della libertà. Onesto mestiere per una bella storia, tratta da Camus. Ma il punto forte resta Mortensen, uno degli attori più decisivi della scena contemporanea.
Alberto Alfredo Tristano

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