La flessibilità di Draghi è vista come un’insidia a Berlino

lunedì, 1 settembre 2014

Mentre i no euro di Alternative für Deutschland sono entrati per la prima volta in un parlamento di un Bundesland tedesco, la Sassonia, in Germania sembra tornare una forte tensione tra il governo a guida  conservatrice di Berlino e la Bce “latina” troppo distante dall’ortodossia della Bundesbank. Mario Draghi a Jackson Hole aveva rimarcato come accanto alle riforme strutturali sarebbe opportuno affiancare investimenti che stimolino la domanda aggregata. Misure necessarie per evitare che la disoccupazione attuale, assai elevata nella periferia dell’eurozona, diventi strutturale, e molto difficile da abbattere anche quando ritornerà la crescita all’interno dell’unione monetaria. Lo scenario che più spaventa la Bce è l’involuzione “giapponese” dell’Europa, con l’arrivo della deflazione che minaccia di rendere insostenibile l’alto indebitamento di stato, aziende e nuclei familiari. Se la deflazione suscita diversi timori anche in Germania, come dimostrano gli ultimi bollettini della Bundesbank, con tanto di richiesta di aumenti salariali corposi alle aziende tedesche, diversa è invece la valutazione sullo stimolo pubblico agli investimenti. Esso sarebbe possibile attraverso misure di nuovo indebitamento, una prospettiva respinta dall’establishment tedesco che rimarca come già ora il debito europeo sia a livelli record. Mario Draghi però a Jackson Hole non ha indicato soluzioni diverse da quella prospettata dal presidente della Commissione Juncker, ovvero un piano di investimenti UE che possa stimolare la crescita nell’eurozona. Gli sgravi fiscali, ha sottolineato il presidente della Bce, devono essere effettuati senza aumentare il deficit, e Draghi ha enfatizzato la necessità di un migliore coordinamento delle politiche di bilancio dei 18 paesi membri dell’eurozona. Rispetto alle sole riforme strutturali, che sono tradizionali politiche dell’offerta che tendono a ridurre i costi per migliorare la competitività di un sistema economico, il presidente della Bce ha rimarcato come serva un sostegno alla domanda per mitigarne le spinte deflazionistiche. Su questo punto potrebbe esserci un dissenso con Berlino, anche se in realtà le posizioni sono meno distanti di quanto possa apparire. Il vero dissidio che c’è nelle cancellerie continentali è su chi debba guidare questo processo: l’autonomia degli stati membri, o l’Ue “tedesca” di questi anni. Una partita politica su cui Draghi non è entrato, e che deciderà il corso della nuova Commissione Juncker.

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