Per una singolare coincidenza sui due principali giornali italiani, “La Repubblica” e il “Corriere della Sera”, compaiono oggi declinazioni diverse della medesima diagnosi: l’Italia paese per vecchi? Ne scrivono due intellettuali fra i più autorevoli, entrambi abituati a misurarsi con la dimensione europea partendo dalla provincia triveneta del Nord-Est. Un letterato, Claudio Magris. E un sociologo, Ilvo Diamanti. Parlano di un Paese stanco, rassegnato alla propria decadenza, che mettono in relazione con la demografia e l’innalzamento dell’età media (forse bisognerebbe aggiungerci le cospicue sacche di benessere che gradualmente una quota significativa della popolazione può ancora permettersi di centellinare). Il più politico fra i due, cioè Diamanti, ne trae anche una conseguenza su Renzi: e se fosse un leader troppo giovane per rappresentare il sentimento comune degli italiani? “Temo che l’immagine di Renzi cominci a risultare inadeguata per raffigurare il Paese. Troppo ‘giovane’ e ‘giovanile'”, scrive Diamanti. Per Magris l’affievolirsi delle passioni è testimoniato anche dall’estremismo verboso ma poco incisivo del MoVimento 5 Stelle.
Trovo utile e significativo che si inizi a riflettere sulla depressione, non solo economica, che attanaglia la penisola. Ha certamente ragione Diamanti quando la mette in relazione con la tendenza a emigrare dei nostri giovani di maggior talento, mentre ci chiudiamo a riccio di fronte al flusso migratorio proveniente dalla sponda sud del Mediterraneo. Ma forse spingerei la riflessione un po’ più in là: la storia ci insegna che c’è modo e modo di declinare. Credo che l’Italia possa permettersi un declino lento e sopportabile, se i beni culturali e materiali di cui ancora dispone verranno condivisi con saggezza. Non sempre i vecchi cadono in depressione. Esistono anche delle vecchiaia felici.