La svolta “simil-keynesiana” dei “liberisti” Giavazzi e Tabellini

martedì, 2 settembre 2014

Francesco Giavazzi e Guido Tabellini sono economisti molto noti nel nostro paese. Entrambi docenti dell’Università Bocconi – Tabellini ne è stato anche rettore -,  firmano da tempo editoriali economici sui principali quotidiani italiani. Giavazzi e Tabellini, sul “Corriere della Sera” come sul “Sole 24 Ore”, propongano da sempre analisi ispirate alle “politiche dell’offerte”, le misure economiche rivolte a migliorare la capacità produttiva delle aziende e il funzionamento dei mercati. La “politica dell’offerta” ispira le riforme strutturali chieste dall’UE per combattere l’eurocrisi, ovvero riduzione del costo del Welfare e maggior liberalizzazione dei mercati, in primis quello del lavoro. Giavazzi e Tabellini hanno difeso per lungo tempo questo tipo di politiche. Sul “Corriere” così come sul “Sole” sono state spesi elogi per l’austerità espansiva così come per il rigore da parte dei due economisti, anche se da diverso tempo sia Tabellini che in parte anche Giavazzi propongono qualche soluzione più eterodossa rispetto al loro recente passato. L’ultimo articolo firmato dai due economisti per la “Voce” rappresenta probabilmente il punto più ardito della loro svolta, vista la rottura di alcuni dogmi dell’ortodossia economica di cui sono stati autorevoli rappresentanti. Giavazzi e Tabellini infatti da una parte riconoscono, come ha fatto con molto rumore Mario Draghi, che al momento l’attuale stagnazione dell’eurozona è causata da una grave mancanza di domanda aggregata, e non dal deficit di competitività dei sistemi economici da colmare tramite riforme strutturali. I due economisti della Bocconi propongono inoltre la monetizzazione del debito, ovvero il deficit pubblico “coperto” dall’intervento della Bce, per stimolare i consumi e sopperire alla mancanza di risorse fiscali. Una politica che nel secondo dopoguerra sarebbe stata definita keynesiana, anche se rispetto a questa impostazione c’è un’importante differenza. Tabellini e Giavazzi non propongono un ciclo di investimenti pubblici, oppure nuove spese sociali, bensì tagli alla tasse, nell’ordine del 5% del Pil di ogni paese membro dell’UE. Visto l’ingente deficit che ne conseguirebbe, i due economisti rimarcano come l’Unione europea dovrebbe rinviare per alcuni il consolidamento fiscale, e permettere alla sua banca centrale  di monetizzare il debito creato dagli Stati, anche per stimolare l’inflazione. Una completa inversione dell’ortodossia monetarista, che si basa sull’indipendenza degli istituti centrali e su politiche monetarie focalizzate sulla stabilità dei prezzi. La deflazione e la possibile lunga fase di stagnazione sono però occasione per una revisione radicale dei precetti degli anni scorsi, secondo questa nuova analisi di Giavazzi e Tabellini. Si potrebbe discutere sulla validità economica della tesi esposta dai due docenti della Bocconi, ma il loro articolo pecca, quantomeno, di scarso realismo. La monetizzazione del debito e una politica fiscale congiunta necessitano di riforme così radicali agli attuali Trattati UE che, come minimo, avrebbero bisogno di vari anni per poter essere introdotte. Niente di possibile nel breve orizzonte sia dal punto di vista politico che giuridico.

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