Scorro l’elenco variopinto degli italiani che dichiarano di tifare per l’indipendenza della Scozia, nel referendum di domani, e per reazione mi scopro più unionista che mai. Non perchè confonda gli indipendentisti scozzesi con i leghisti nostrani (ci tengono a dirti che la loro è tutta un’altra cultura), non perchè sottovaluti il peso della storia o le legittime aspirazioni di una maggiore autonomia rispetto alle politiche conservatrici degli ultimi anni nel Regno Unito. Quel che mi fa paura è il sintomo. La concreta possibilità, cioè, che la perdita di autorevolezza e di fascino del progetto comune europeo si traduca in una deriva irresponsabile di disgregazione, nella quale anche i simpatici scozzesi del “yes” giocherebbero una parte rilevane: sarebbero il detonatore.
Qui non si tratta di negare il valore legittimo delle diverse nazionalità. Nego però che a ogni diversa nazione debba corrispondere uno Stato. Nazioni diverse possono convivere e progredire felicemente dentro la cornice di una sovranità statale allargata. Mi auguro, sempre più allargata. Fino agli Stati Uniti d’Europa. Non abbiamo quindi bisogno di uno staterello in più a complicarci un cammino già impervio.