La inesorabile bocciatura di Luciano Violante -lo ammetto, contro le mie previsioni- è un insuccesso di Renzi e del cosiddetto patto del Nazareno che per certi versi intendeva suggellare, portando alla Corte Costituzionale una personalità che di quel patto poteva ben dirsi antesignano.
Doveva essere il simbolo anche un po’ ostentato, sfacciato, della nuova stagione politica dominata da Renzi al punto di poter certificare lui solo chi fosse il nuovo e chi il vecchio, chi promuovere e chi rottamare. Invece non è andata così. La coppia Violante-Bruno è risultata indigesta. La smaccata politicizzazione di un voto in cui si ridefiniscono gli equilibri della Corte Costituzionale è risultata offensiva al di fuori del Parlamento, e troppo complicata da comporre all’interno. Può darsi che ci sia stato anche lo zampino di una discreta ma forte raccomandazione pro-Violante di Napolitano, sia detto a parziale discarico di Renzi. Fatto sta che l’insuccesso grava sulle spalle del presidente del Consiglio, ricordandogli la precarietà delle maggioranze variabili che egli affida alla convenienza benevola di Berlusconi.
Ma siccome ho con Luciano Violante un rapporto di stima, pur nei frequenti dissensi, vorrei aggiungere una considerazione personale a lui dedicata: anche da parte sua c’è stato un eccesso di presunzione nel farsi avanti, una misura sbagliata del pur legittimo mettersi e rimettersi continuamente in gioco.