I dubbi di Tito Boeri e Pietro Garibaldi sul Jobs Act del governo Renzi

martedì, 23 settembre 2014

Il Jobs Act, la riforma del mercato del lavoro al momento in discussione al Senato, potrà funzionare solo se verranno apportare significative correzioni alla liberalizzazioni dei contratti a tempo determinato introdotta con il decreto Poletti. Questa è una delle annotazioni fatte sul sito “Lavoce.info” da Tito Boeri e Pietro Garibaldi, i due docenti della Bocconi e dell’Università di Torino, che sono stati gli ideatori del “contratto unico a tutele crescenti”. Questa tipologia contrattuale dovrebbe essere alla base del Jobs Act, ma Boeri e Garibaldi precisano che, in base al testo della legge delega approvato dalla commissione Lavoro al Senato, i contenuti sono ancora troppo vaghi per pronunciarsi sulla coerenza tra il progetto governativo e la loro proposta. I due economisti però rimarcano i capisaldi del “contratto unico a tutele crescenti”, che si basa su due fasi, una di inserimento, l’altra di stabilità. Nel primo periodo, che dura 3 anni, è essenziale che venga mantenuto un indennizzo monetario per i licenziamenti economici, così come la reintegra per quelli discriminatori. Alla fine di questa fase, dovranno valere le regole attualmente in vigore. La valutazione di Sacconi sul contenuto della legge-delega, ad esempio, non pare vicina alle idee di Boeri e Garibaldi, ma il contenuto normativo effettivo dovrà ancora essere valutato. Perchè il “contratto unico a tutele crescenti” possa essere efficace sono però necessarie forti correzioni alle regole del lavoro attualmente in vigore. I due economisti indicano come il decreto Poletti, che ha liberalizzato i contratti a tempo determinato introducendo la possibilità di 5 rinnovi in 3 anni senza causale, dovrà giocoforza essere limitato per non creare un mercato del lavoro di Serie B. ”  Non possiamo immaginare un giovane che viene prima assunto per un totale di tre anni a termine con cinque contratti che durano sei mesi ciascuno e che poi debba iniziare un nuovo rapporto di lavoro con il contratto a tutele crescenti. Un mercato del lavoro di questo tipo sarebbe davvero di serie B. È evidente che, con il contratto a tutele crescenti, il contratto a termine può avere senso soltanto dietro specifiche circostanze (lavori stagionali, imprese a termine o grandi eventi come l’Expo). In circostanze normali, si deve entrare nel mercato del lavoro subito con il contratto a tutele crescenti e non con il contratto a tempo determinato”. Per Boeri e Garibaldi è necessario un nuovo intervento normativo che renda il “contratto unico a tutele crescenti” la tipologia prevalente per le nuove assunzioni. I due economisti ritengono sbagliati gli incentivi fiscali per favorire l’utilizzo del “contratto unico”, mentre sarebbe opportuno aumentare i contributi per le tipologie di collaborazione parasubordinate e a tempo determinato al fine di rendere meno vantaggiose per le imprese queste forme di lavoro. Boeri e Garibaldi rimarcano come diversi aspetti della loro idea  siano già stati recepiti in una proposta di legge del senatore Nerozzi depositata nella scorsa legislatura.

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