Ho visto “Anime nere” pensando ai seguaci del Califfo. Cronache di una civilizzazione incompiuta

martedì, 30 settembre 2014

Ti colpisce nel profondo “Anime nere” il film di Francesco Munzi sulla ‘ndrangheta che s’irradia nel nostro tessuto sociale e mentale a partire dal suo nucleo d’Aspromonte calabrese. Ma non è solo un film sul crimine, o sul rapporto fra crimine e economia. Insomma non è una riedizione del pur ottimo “Gomorra”. Qui c’è qualcosa di più profondo che turba e fa riflettere, nel rapporto fra i tre fratelli (quello integrato a Milano, il grande spacciatore, il primogenito pastore rimasto al paese), la generazione successiva afflitta da ottusità e miseria culturale, le loro donne imprigionate in una tradizione ormai sfilacciata, i codici del rispetto, la distanza dello Stato, la dimensione soverchiante della bruttezza e del sangue come elemento vitale. Non sono un critico cinematografico e dunque mi limito a constatare che “Anime nere” per me è stato il racconto pieno di verità dolorose di una civilizzazione incompiuta. A tal punto che, nel mentre seguivo quegli uomini in cerca di piacere, potere, vendetta -e l’introiezione profonda dei codici atavici nei loro comportamenti, tale da sconvolgere i nostri parametri su saggezza e bontà d’animo- pensavo anche ai miliziani dell’Isis. Anche loro, anche i tagliagole arruolati in Medio Oriente o fra i loro congiunti emigrati fra noi, sono il portato di una civilizzazione incompiuta. Non sto dicendo che calabresi e arabi sono la stessa cosa. Sto dicendo che abbiamo tutti un problema in comune.

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