Le “divisioni” del PD al Senato dopo il trionfo del Jobs Act in direzione

martedì, 30 settembre 2014

Matteo Renzi durante la sua relazione così come durante la replica ha più volte rimarcato come i gruppi parlamentari dovranno attenersi alle indicazioni stabilite dalla direzione nazionale del Partito Democratico in merito al Jobs Act. Posta la corretta autonomia dei gruppi parlamentari rivendicata dal presidente dei deputati PD Roberto Speranza, la sottolineatura del presidente del Consiglio deriva dalla consapevolezza dei diversi rapporti di forza esistenti tra la direzione eletta in seguito alle primarie 2013 e l’orientamento politico degli eletti democratici alle Camere. Il voto di ieri ha sancito l’allargamento della maggioranza renziana ai cosiddetti “giovani turchi”, gli ex Ds under 50 passati senza soluzione di continuità da Fassino a Veltroni a Bersani ed ora a Renzi. La corrente guidata da Andrea Orlando e Matteo Orfini, insieme a diversi esponenti della fu mozione “Cuperlo” legati ad altre leadership, ha fornito i voti necessari per arrivare allo squillante 80% ottenuto dall’ordine del giorno presentato dalla segreteria del partito sul Jobs Act. La minoranza si è divisa, tra le astensioni di Area riformista, la corrente che fa capo a Speranza e Martina, e i no di bersaniani e civatiani. I rapporti di forza così favorevoli a Renzi sono però diversi al Senato, dove tra pochi giorni inizierà l’esame della legge delega sul Jobs Act, approvata all’unanimità dalla delegazione PD in commissione Lavoro. La maggioranza renziana, composta dalla componente legata al presidente del Consiglio più il gruppo franceschiniano di Area democratica, vale una cinquantina di senatori, poco più della metà del gruppo. I bersaniani sono però molto più forti, circa una quarantina, come dimostrato dagli emendamenti presentati al Senato. Al loro interno potrebbero però replicarsi le divisioni già osservate nella direzione di ieri, tra un fronte più battagliero ed invece un altro più propenso al dialogo. Deboli i civatiani così come la corrente di Orlando e Orfini, che contano su una decina di esponenti. Esiste un concreto pericolo, per la maggioranza di governo, di non avere i numeri per l’approvazione del testo se i senatori della minoranza PD si compatteranno come non successo in direzione, replicando in parte quanto già visto sulle riforme costituzionali. A Palazzo Madama la maggioranza è piuttosto ridotta, poco meno di 10 voti di margine, anche se è molto probabile che Forza Italia non farà venire meno il suo soccorso in caso di necessità. L’approvazione del Jobs Act è oltremodo probabile, più incerte invece saranno le ripercussioni in casa PD. La minoranza anti Renzi ha dimostrato di essere molto divisa, e potrebbe ancora una volta spaccarsi tra un fronte intransigente ed uno più dialogante. Il presidente del Consiglio ha in realtà proposto una significativa mediazione con l’accettazione della reintegra anche per i licenziamenti disciplinari. Non è escluso che per assicurarsi un’altra volta il consenso dei gruppi parlamentari sarà introdotto un altro compromesso, come già fatto con le riforme costituzionali significativamente cambiate, se non stravolte, rispetto a prime indicazioni approvate nella direzione PD.

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