Niente moschea a Milano per l’Expò, una vittoria del pregiudizio

mercoledì, 1 ottobre 2014

Questo articolo è uscito sulle pagine milanesi di “La Repubblica”.
Prendiamone atto: ormai è chiaro che Milano ha rinunciato surrettiziamente ad avere una sua moschea nell’anno in cui ospita un’Esposizione universale che, rivolgendosi al pianeta, in teoria non dovrebbe ignorare l’esistenza di un miliardo e trecento milioni di musulmani. Oltretutto chiamati oggi a debellare la minaccia di un terrorismo spacciato fra di loro come fede autentica.
E’ mortificante constatare come l’ eccesso di cautela –in politica si chiama opportunismo- e la soggezione al pregiudizio, abbiano prevalso sull’impegno che il sindaco Pisapia si era assunto al principio del suo mandato. La giunta cercherà di metterci una pezza allestendo una non meglio precisata struttura provvisoria inter-religiosa, dove anche i visitatori musulmani dell’Expo potranno pregare. Mentre i circa centomila islamici che ormai sono parte integrante del nostro tessuto urbano dovranno continuare a farlo nei capannoni, negli scantinati e nelle altre sistemazioni di fortuna che di fatto li qualificano come ospiti indesiderati.
Provincialismo e piccineria vengono spacciati da una destra milanese sempre uguale a se stessa come difesa dei valori occidentali. Peccato che la stessa coalizione internazionale varata per combattere i tagliagole del sedicente Califfato, sia fondata invece su una visione diametralmente opposta: chiamare i musulmani in prima linea a difendere la loro religione da chi tenta di ricacciarla nell’oscurantismo. Il timore dell’impopolarità, evidenziato dalle titubanze e dai rinvii della giunta Pisapia, gliel’ha data vinta. Ancora ieri a Palazzo Marino, nella Commissione congiunta dedicata al progetto moschea, sono riecheggiati argomenti da crociata: quasi che il divieto rappresentasse di per sè una battaglia vinta contro l’altrui fanatismo; o servisse addirittura a disincentivare la presenza dei musulmani a Milano. Davvero qualcuno crede che diminuiranno di numero, o rinunceranno alla loro fede, per merito degli strepiti di un De Corato? Davvero i propagandisti di “ordine e sicurezza” pensano che un islam frantumato nella semiclandestinità risulti più controllabile dalle forze di polizia rispetto a luoghi di culto dignitosi alla luce del sole?
Vero è che la litigiosità cronica della galassia islamica milanese, le dispute continue fra singoli gruppi per il controllo dei luoghi di culto, la reticenza che ha contraddistinto il loro spinoso confronto con le fazioni integraliste, hanno fornito pretesti ai rinvii e, diciamocelo, allo scaricabarile. Ma è proprio qui che si è manifestato il limite culturale della classe dirigente cittadina: una malintesa concezione della laicità delle istituzioni, fondata sul principio della non interferenza nella materia religiosa, come tale inapplicabile a un mondo musulmano che per la prima volta deve adeguarsi al modello democratico della nostra società pluralista.
Gli assessori che convocavano i portavoce islamici pretendendo che si mettessero d’accordo fra di loro, chiamandosi fuori. Il sindaco che ha voluto fino all’ultimo evitare un confronto diretto con loro e poi in consiglio comunale. Il timore di immischiarsi…
Così Milano ha perduto l’occasione di sperimentare una proposta di laicità attiva che imponesse le sue regole di convivenza a chi reclama spazi pubblici per l’esercizio di un diritto costituzionale qual è la libertà di culto. Ci siamo barcamenati con il varo di un albo delle religioni; con l’annuncio di bandi su aree non meglio precisate; si è anche pensato di smarcarsi affidando a Stati stranieri la gestione della moschea. Il risultato, fin qui, è l’inazione .
La scorsa domenica 28 settembre diverse associazioni islamiche milanesi hanno dato prova di coraggio non indifferente manifestando su una pubblica piazza la loro condanna dell’Isis e la loro fedeltà ai valori della democrazia e della nonviolenza. Con loro le isttuzioni sono chiamate a un confronto incalzante ma non timoroso.

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