Scola e Tettamanzi, la divaricazione crescente fra i pastori di Milano

lunedì, 13 ottobre 2014

Questo articolo è uscito sulle pagine milanesi di “La Repubblica”.
All’arcivescovo di Milano, Angelo Scola, è toccato in sorte di rivivere l’esperienza certo non semplice già provata da Dionigi Tettamanzi quando subentrò a Carlo Maria Martini: una lunga convivenza col predecessore che, per quanto diplomaticamente gestita, rimane fonte di inevitabili confronti.
In questi giorni il Sinodo dei vescovi sui temi della famiglia convocato in Vaticano da papa Francesco sta evidenziando una diversità profonda di traiettoria fra queste, diciamo così, inedite convivenze “ambrosiane”. Se infatti Tettamanzi, con la sua specifica impronta pastorale, pur nella diversità, volle e riuscì a imprimere un forte segno di continuità con la figura autorevolissima di Martini (evitando felicemente di restarne schiacciato e lasciando anzi una sua impronta personale), è viceversa inevitabile constatare oggi l’emergere, fra i due cardinali milanesi, di una divaricazione. Avvertita come tale dall’insieme della Diocesi.
Di mezzo ci si è messa anche la spinosa questione politica del riconoscimento dei matrimoni omosessuali celebrati all’estero e registrati dal sindaco Pisapia, in assenza di una legge ad hoc. La reazione critica del Servizio famiglia della Diocesi, giunta perfino ad accusare il sindaco di privilegiare i diritti delle coppie gay rispetto al sostegno delle famiglie regolari bisognose, è assai rivelatrice. Pur riconoscendo la necessità di trovare una forma di riconoscimento giuridico delle unioni non tradizionali –e si tratta di una novità rilevante, forse subita ma certo dettata dal nuovo corso di Francesco- appare chiara la volontà di Scola di marcare una posizione di resistenza. Confermando l’approccio conservatore al Sinodo espresso dall’arcivescovo in un articolo pubblicato su “Il Regno”: in sostanza, no a deroghe dottrinali (in materia di sacramenti ai divorziati), le quali secondo Scola si configurerebbero come un “forzoso adattamento alla situazione problematica da cui hanno origine”.
Guarda caso, il cardinale Tettamanzi, negli stessi giorni, ha espresso pubblicamente una posizione ben diversa, sollecitando dal Sinodo una pastorale “coraggiosa”, rinnovata “nel segno dell’inclusione”. Inevitabile che i due cardinali venissero quindi collocati su fronti opposti nell’ambito degli schieramenti sinodali. Acuendo una divaricazione già da tempo emersa non solo sul tema della morale familiare.
C’è da dire che Scola è stato sfortunato. Il suo arrivo a Milano, inopportunamente “sponsorizzato” da una lettera di raccomandazione di Comunione e Liberazione divenuta pubblica, in cui si esprimevano durissime critiche a Martini, ha coinciso con l’esplodere degli scandali della giunta Formigoni. Niente a che fare con il confronto fra innovatori e tradizionalisti nella Chiesa, ma pur sempre elementi che pesano nel definire le diversità fra i due cardinali di Milano.
In estrema sintesi, la personalità intellettuale di Scola tende a caratterizzarlo come guida che esercita la sua autorevolezza soprattutto nell’ambito dell’establishment: una figura di conservatore che si muove ad alto livello nell’ambito della classe dirigente, imprimendovi una visione teologica e culturale preoccupata di riscrivere la tradizione. Ben diversa dall’impostazione popolare e pastorale del predecessore Tettamanzi, di accresciuta sintonia con le irrequietezze dei fedeli, disposta a navigare controcorrente anche quando ciò implicava scontri con l’establishment milanese della sua epoca.
Perfino il rapporto sentimentale si è così divaricato: Tettamanzi il bonario, Scola il custode? Sarebbe ingiusto addentrarsi nell’intimo delle loro personalità, ma questa è la percezione ormai consolidata. Due visioni diverse della funzione della Chiesa nella terra di Ambrogio.

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