L’Intifada di Gerusalemme, dove ebrei e arabi si odiano ma convivono

lunedì, 3 novembre 2014

Questo articolo è uscito su “La Repubblica”.

E’ una parola sconsigliata. In Israele circola sottovoce, la pronunciano con tremore: di nuovo Intifada, cioè rivolta, sollevazione, per la terza volta in 27 anni. Solo che stavolta l’Intifada palestinese, siccome non c’è limite al peggio, sta divampando proprio là dove più la si temeva, nel cuore di Gerusalemme, cioè dove ebrei e arabi, pur odiandosi, saranno in ogni caso costretti a vivere mescolati. Destino reso ineluttabile dall’annessione della città santa divenuta capitale “indivisibile” d’Israele nel 1967, quindi priva di check point e confini tracciati.
L’Intifada per ora sta risparmiando le mete del turismo e del pellegrinaggio cinte dalle mura ottomane. Ma l’epicentro della contesa, che forse qualcuno ha pianificato di trasformare in guerra mondiale fra islam e ebraismo, sorge proprio lì, meraviglioso e inavvicinabile: la spianata delle Moschee edificate tredici secoli fa sopra il Monte ove fino al 70 dopo Cristo svettava il Tempio d’Israele. Luogo divenuto islamico e come tale vilipeso dai crociati cristiani, prima che nel 1187 Saladino li cacciasse definitivamente. Luogo che fino a oggi nessun politico israeliano con la testa sulle spalle ha mai rivendicato per un revival messianico del culto ebraico.
Tutto intorno alla città vecchia, Gerusalemme brucia. La polizia israeliana preferisce credere che la maggior parte dei focolai di protesta giovanile nei quartieri arabi siano di natura spontanea, e cerca di reprimerli con modalità poco appariscenti. Ma proprio ieri il governo, nella sua riunione domenicale, su proposta di Netanyahu, ha approvato un disegno di legge che inasprisce fino a 20 anni di carcere le pene per chi tira sassi sulle automobili provocando danni alle persone. Mentre lo Shin Bet indaga su una possibile regia di Hamas o addirittura di Isis dietro agli incendi, ai finti incidenti stradali, alla strategia del terrorismo individuale di strada.
Anche perché le provocazioni non appaiono quasi mai casuali. Era del quartiere di Silwan il palestinese che ha investito con l’auto, uccidendole, una donna e una neonata alla fermata del métro leggero. E guarda caso a Silwan prometteva di traslocare, qualche giorno prima, il ministro dell’edilizia Uri Ariel, d’intesa coi coloni che ne rivendicano l’ebraicità in quanto parte dell’antica città di Davide.
Più mirato ancora il tentato omicidio di Yehuda Blick, rabbino-simbolo del nuovo integralismo contemporaneo, che proprio sulla controversia della Spianata riscuote consensi impensati. Non uno di quei pazzi estremisti che da anni predicano la demolizione di al-Aqsa e del Duomo della Roccia (luoghi sacri all’islam) per ricostruirvi il Terzo Tempio degli ebrei. No, Blick presenta un volto moderato e chiede “solo” che anche gli ebrei abbiano il diritto di pregare lassù. In amicizia coi musulmani. Bisognerebbe chiedergli se sarebbe favorevole, per reciprocità, a libere preghiere musulmane al Muro del Pianto, se non versasse in gravi condizioni all’ospedale. Fatto sta che Brick a destra viene rappresentato come uomo di pace e di buon senso. Se sia un piromane consapevole o inconsapevole, poco importa. Ha convinto non pochi seguaci a praticare la disobbedienza recandosi sulla spianata a pregare. Trascina dalla sua parte una componente in ascesa del sionismo religioso cui fa capo anche il ministro Ariel: il partito della “Casa ebraica” guidato dal concorrente più temibile di Bibi Netanyahu, cioè Naftali Bennett, oggi ministro dell’economia.
Siamo proprio sicuri che l’Intifada di Gerusalemme nuoccia al disegno di potere impersonato da Bennett? Lui è il prototipo perfetto della nuova destra israeliana. Patrocina i coloni insediatisi nei territori palestinesi, elevandoli a autentici prosecutori del pionierismo sionista delle origini. E’ religioso ma senza anacronismi estetici, basta una kippà ricamata all’uncinetto senza travestirsi da ebreo polacco del diciassettesimo secolo. E’ stato un abile uomo d’affari della new economy, ma ciò non gli ha impedito di fare il suo dovere nei reparti d’eccellenza dell’esercito. Di origine statunitense, ma duro fino alla tracotanza nella polemica pubblica con i liberal e Obama…
Se nei giorni scorsi Netanyahu ha contribuito a riscaldare gli animi dichiarandosi pronto a rilasciare licenze edilizie per mille nuove case ebraiche a Gerusalemme est, è perché Bennett da tempo di case ebraiche fra gli arabi ne chiede il doppio, duemila.
Così accade che il sionismo religioso assuma l’egemonia culturale dentro a un establishment israeliano chiamato a misurarsi con le nuove forme del jihadismo. Al meeting del Centro Begin di Gerusalemme dedicato a “Il ritorno di Israele sul Monte del Tempio”, funestato dall’attentato al rabbino Brick, altri oratori in precedenza esprimevano così la loro protesta: “Vi sembrerebbe pensabile che Washington rinunci alla Casa Bianca e Parigi alla Torre Eiffel? Noi siamo proprio il più umiliato dei popoli!”.
Per fortuna venerdì scorso ci ha pensato anche la pioggia a sbollire gli animi nella città vecchia, mentre tutto intorno continuavano le sassaiole, il lancio notturno di razzi, le aggressioni e i sempre più frequenti incendi dolosi. Lassù a al-Aqsa è stato necessario vietare la funzione religiosa islamica ai minori di 50 anni. Ma al tramonto, quando proprio lì sotto al Muro del Pianto si affollavano gli ebrei per la preghiera del sabato, faceva una certa impressione vedere i soldati col mitra a tracolla abbracciarsi in cerchio e cantare e danzare insieme ai rabbini ortodossi: una volta soldati e rabbini erano due mondi non comunicanti fra loro, oggi invece il sionismo religioso pervade anche l’esercito e assegna alla guerra sinistre virtù teologiche.
A Gerusalemme le respiri nell’aria, queste ideologie contemporanee affiorate improvvisamente, dal Califfato islamico che recluta volontari pure fra gli arabi israeliani, alla pretesa ebraica di calpestare la Spianata. Solo che a Gerusalemme non c’è muro di separazione che tenga: questa è la città in cui meno realistico appare il progetto europeo e statunitense fondato sulla spartizione di due popoli in due Stati, separati in pace e sicurezza. Qui, nel mezzo dell’Intifada di Gerusalemme, diviene impossibile eludere la domanda più radicale e politicamente scorretta che aleggia nell’ultimo splendido romanzo di Amos Oz, non a caso intitolato “Giuda”. Ambientata mezzo secolo fa in una città ancora divisa fra Israele e Giordania, con i luoghi santi interdetti agli ebrei, la sua è una storia di traditori e tradimento. Ma a queste infedeltà, al tradimento, Oz sente di dover tributare benevolenza. Siamo proprio sicuri che fosse la soluzione migliore per gli ebrei, costruirsi uno Stato tutto per loro? Al grande scrittore è consentito chiederselo, mentre i gerosolimitani condannati a vivere mescolati testimoniano quanto sia faticoso, ma inevitabile, cercare ogni giorno la convivenza possibile, lì in mezzo ai fanatici.
Più imbarazzante è rispondere alla stessa domanda per la sinistra israeliana, che lo scorso sabato sera si è ritrovata, numerosa e spaventata, a Tel Aviv per commemorare il diciannovesimo anniversario dell’omicidio del “suo” primo ministro Rabin. C’era anche il patriarca di questa sinistra oggi senza leader, il novantenne Shimon Peres, a ripetere con voce tonante che due popoli due Stati è l’unica soluzione per fermare la prossima guerra. Nessuno osa contraddire questo assioma, anche se i più dubitano che sia davvero praticabile. Sono belli, e sono davvero tanti, almeno 15 mila, quelli che in piazza a Tel Aviv impersonano l’Israele laica che resiste all’offensiva del sionismo religioso. Ma ormai i loro dirimpettai giovani arabi di Gerusalemme ammirano piuttosto i tagliagole dell’Isis. E le moderne kippà all’uncinetto, seguaci del messianismo politico di Bennett, ora che hanno preso il posto degli ultraortodossi intabarrati di nero, puntano gli occhi sul Monte del Tempio. Senza accorgersi che forse anche loro stanno precipitando nell’infernale Geenna posta a strapiombo sul versante orientale di un luogo sempre meno santo, dissacrato dal fanatismo.

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