La politica espulsa da una società di cui non riconosce il dolore

sabato, 15 novembre 2014

Questo articolo è uscito su “La Repubblica”

Le periferie metropolitane sfiancate dalla povertà materiale e dalla miseria culturale, nei loro sussulti di rancore rivelano l’emergere di brandelli di società imperscrutabile, da cui non solo la politica ma anche le istituzioni dello Stato mantengono una distanza intimorita. Rivelano un’impotenza dell’autorità costituita che già si manifestò simbolicamente lo scorso 3 maggio allo stadio Olimpico della capitale, quando le massime autorità dello Stato rimasero mute in tribuna di fronte alle gerarchie misteriose della tifoseria organizzata. Neanche un formidabile comunicatore come Renzi, in quella occasione, si azzardò a tentare un impossibile contatto con quel magma. Un’incandescenza che vedemmo riprodursi nel rione Traiano di Napoli dopo l’uccisione del diciassettenne Davide Bifulco. Che tracima sempre più spesso nei quartieri degradati, alla ricerca di bersagli contro cui scagliarsi, utilizzando codici di appartenenza estranei alle ideologie del passato.
A Tor Sapienza se la prendono con lo straniero, non importa se minore fuggiasco da guerre che ormai ci lambiscono. Pietà l’è morta. La guerra fra poveri ha bisogno di nemici ravvicinati. Li mitizza –che si tratti del rom, dell’occupante abusivo o dello stupratore- attribuendogli privilegi inverosimili: l’intruso, colpevole di apparire corpo estraneo, secondo le dicerie sparse a casaccio godrebbe di cospicui sussidi economici, negati ai cittadini in difficoltà. Falso, esagerato, ma necessario per alimentare il senso di un’ingiustizia riversata sulle maggioranze a vantaggio delle minoranze estranee. Serpeggia l’insinuazione: le cooperative sociali incaricate di recare assistenza ai richiedenti asilo e ai minori non accompagnati, agirebbero per scopo di lucro. Lungi dal riconoscere che per evitare guai peggiori l’emergenza umanitaria ha dei costi e implica un’organizzazione economica razionale del cosiddetto terzo settore. Lo si vorrebbe né più né meno estirpare.
Non siamo alle prese con una violenza politica organizzata, perfino un piromane dell’odio razziale come Borghezio ha preferito insinuarsi con cautela, ieri, ai margini della protesta. Mentre il sindaco Marino espleta un fugace, tardivo atto di presenza –doveroso, certo- ma che non può esaltare nient’altro se non l’impossibilità del dialogo. Marino appare e scompare tra la gente di Tor Sapienza, come già fece il sindaco Doria recatosi a prendere insulti fra gli alluvionati di Genova. Come il napoletano De Magistris silenziosamente presenziò a Scampia il 27 giugno scorso durante i funerali di Ciro Esposito, vero e proprio raduno nazionale di questa “altra società” gerarchizzata in bande che dallo stadio fuoriescono esibendo un controllo territoriale sfuggito alle istituzioni.
Stiamo parlando infatti di territori, dalle case popolari degradate agli hinterland dove i centri commerciali sono ridotti a emblema di un consumismo irraggiungibile, in cui prevale l’economia illegale e le affiliazioni di clan. L’estrema destra ha intuito per prima le potenzialità aggregatrici offerte da questi non luoghi, dove il lavoro non condensa più classi sociali omogenee, e la nozione di plebe infuriata contro i detentori del privilegio torna a affermarsi prepotente.
Sono gli effetti di una crisi che dal 2007 ha più che raddoppiato le cifre della disoccupazione giovanile e il numero delle persone alle prese con una condizione di povertà assoluta. Diviene così facile lo scatenamento dei penultimi contro gli ultimi, come amaramente constata Marco Revelli. La stessa nozione di solidarietà fra miserabili viene deformata nella ricerca di capri espiatori, perché la politica e il sindacato sono rimasti altrove.
Tor Sapienza, così come le periferie di Milano e Torino, sono il luogo della sconfitta della politica come fattore di civiltà. Rivelano il limite di una politica che con Renzi vorrebbe esprimersi sotto forma di comunicazione dell’ottimismo, e per questo ha scelto di ignorare il dolore, la solitudine, il senso di vergogna che qui si trasforma in aggressività. Un’aggressività nutrita di stereotipi che scaturisce proprio dal mancato riconoscimento del dramma sociale di fronte a cui la politica ha voltato la testa. Troppi sorrisi, troppe battute di spirito, troppa confidenza nella leadership che dovrebbe pattinare su una lastra di ghiaccio ormai spezzata in più punti.
A Tor Sapienza, con la cacciata di 36 ragazzi in fuga dalla guerra –e invano ieri 14 di loro hanno cercato di fare ritorno al centro di via Morandi- si è consumata una sconfitta umiliante non solo dello Stato ma della nostra civiltà. Tutto il resto viene dopo: l’inopportunità di concentrare in un quartiere difficile il ricovero di troppi immigrati, la mancata pianificazione razionale, l’incuria prolungata dei servizi pubblici, le conseguenze drammatiche dei tagli di spesa. Vero, ma non basta a giustificare il misfatto.
Resta l’amara constatazione di una metamorfosi compiuta, di una società precipitata nell’imperscrutabile. Una perdita di senso comune dell’umanità, di fronte alla quale perfino il vescovo di Roma non ha ancora trovato le parole per esprimersi.

I commenti sono chiusi.

I commenti di questo blog sono sotto monitoraggio delle Autorità. Ti preghiamo di mantenere i toni della discussione entro i limiti di buona educazione e netiquette in essere come regole del blog. Inoltre usa con moderazione i seguenti comandi di formattazione testo.