Cesana e le pretese di Comunione e Liberazione sul Policlinico di Milano

domenica, 23 novembre 2014

Questo articolo è uscito sulle pagine milanesi di “La Repubblica”.
Dopo la caduta di Formigoni, Giancarlo Cesana impersona il culmine ma anche il limite della presenza ciellina a Milano. Burbero, taciturno, appartato, ma proprio per questo autorevole come leader laico del movimento religioso, questo impegno eminentemente spirituale non lo ha trattenuto dall’assumere, cinque anni fa, un incarico di grande potere cittadino: la presidenza del Policlinico. Tale ambiguità, la trasformazione della presenza religiosa in occupazione di ruoli pubblici (e in “opere” di natura materiale), lungi dall’imbarazzare Comunione e Liberazione viene da sempre rivendicata come suo tratto caratteristico. L’integralismo cattolico che aspira a diventare sistema. Ma è stata anche la causa di una degenerazione con cui ha dovuto fare i conti lo stesso successore di don Giussani: “Qualche pretesto dobbiamo averlo dato” –ammise nel 2012 don Juliàn Carròn- se il movimento “è continuamente identificato con l’attrattiva del potere”.
Adesso Cesana minaccia di andarsene se gli verrà impedito di nominare alla guida della Fondazione incaricata di gestire il patrimonio immobiliare del Policlinico un suo fedelissimo, il manager ciellino Achille Lanzarini.
Ebbene, bisognerà che Cesana se ne faccia una ragione. La cittadinanza milanese ha tutto il diritto –visti i precedenti- di guardare con sospetto alla pretesa di un appalto monopolistico ciellino su un patrimonio di 1390 case, più terreni, chiese e cascine, per un valore complessivo che supera ampiamente il miliardo di euro.
Non siamo cioè in presenza dell’ennesima controversia sulle nomine, tutta interna al centrodestra che governa la regione. Lo ha detto con lodevole brutalità l’economista Marco Vitale, già commissario straordinario di Ca’ Granda: “Cl vuole mettere le mani sul patrimonio del Policlinico, un bottino molto ghiotto a cui mira da sempre”. Esagerato? Può darsi, anche se le vicende passate della sanità lombarda legittimano ogni diffidenza in proposito.
Resta il fatto che Cesana per primo dovrebbe evitare di gridare a una inesistente discriminazione, e riconoscere viceversa l’opportunità di qualche salutare passo indietro, per il bene del suo stesso movimento.
Confesso di avere sempre avuto un debole per lo spirito urticante di Cesana, quand’anche lo portava a cozzare –come ai tempi di Mani Pulite- contro la richiesta di legalità manifestata dalla maggioranza dei cittadini, che il nostro, con eccesso di faciloneria, tacciava di moralismo. Il tempo è stato galantuomo nel rivelare le malefatte e gli arricchimenti illeciti di chi strumentalizzava l’appartenenza religiosa a fini politici e di potere. Non è il suo caso, e quindi sarà meglio che scenda dal pero.
Il patrimonio del Policlinico, gli appetiti che suscita, le ipotesi addirittura di spostamento delle cliniche universitarie per lasciare spazio a chissà quali futuri investimenti privati, hanno già dato luogo a leggende metropolitane che le nomine rivendicate da Cesana sulla base di fedeltà sconvenienti adesso ripropongono. Possibile che non se ne renda conto?
Volente o nolente, lo ripeto, oggi Cesana non è solo il presidente del Policlinico. Rappresenta anche, al massimo livello, la presenza milanese di Comunione e Liberazione alle prese col dopo Formigoni. Spetta quindi a lui per primo dissipare ogni dubbio sulla futura ricollocazione di questo pezzo di storia del cattolicesimo milanese che nessuno ha il diritto di estirpare. Ma al quale gioverebbe una salutare dieta, lontano dall’indigestione di poltrone.

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