La riforma del mercato del lavoro in una logica di sostanziale deregulation è stata voluta dal governo Renzi per legittimarsi in Europa, dove recare in dono “lo scalpo” simbolico della Cgil. Tale riforma incontra una diffusa contrarietà nel mondo del lavoro, e nell’opinione pubblica nessuno finge di credere che essa estenda davvero chissà quali tutele ai non garantiti. Segna un arretramento generalizzato della legislazione e della contrattazione che -nella speranza ingenua del governo- dovrebbe incoraggiare le imprese “senza più alibi” a nuove assunzioni. Per questo mi auguro che la divisione interna al Partito Democratico si manifesti anche nel voto parlamentare. Se il governo vorrà forzare con l’ennesimo voto di fiducia, i deputati contrari al Jobs Act potranno uscire dall’aula per marcare un dissenso non ricomponibile su una materia che riguarda l’identità stessa del Pd. Votare no e al tempo stesso guardarsi da ogni tentazione scissionistica, mi sembra la scelta più giusta per mantenere in piedi un legame fra Pd e organizzazioni del lavoro dipendente.