Napolitano angosciato dall’antipolitica potenzialmente violenta e eversiva. Ma cos’è l’antipolitica?

giovedì, 11 dicembre 2014

Era uno dei suoi ultimi messaggi da capo dello Stato, pronunciato commuovendosi e pervaso di un senso d’angoscia, forse anche di sconfitta. Ben lo capisco, Giorgio Napolitano, alle prese col pericolo concreto che la nostra democrazia vada in frantumi per la somma fra il dissesto economico e la corruzione dilagante nelle istituzioni. Non ha torto quando rileva i pericoli di una degenerazione violenta e eversiva, anche se ancora non si è affacciato all’orizzonte l'”uomo forte” in grado di instaurare un regime autoritario. Più difficile mi riesce seguire il presidente nella formulazione, temo superata, di “antipolitica”. Potrei avanzare l’obiezione facile che i più antipolitici sono proprio i politici corrotti, pensate a un tipo come Galan che si è arricchito e poi se la cava patteggiando una pena carceraria simbolica e risarcendo 2,6 milioni ovvero una percentuale modesta del suo patrimonio.
Ma siccome Napolitano si riferisce ai movimenti politici, più o meno populisti, più o meno strutturati, che da vent’anni cercano di cavalcare l’esigenza di onestà e legalità, e siccome questi movimenti vanno regolarmente in crisi uno dopo l’altro, parlare di antipolitica mi sembra fuorviante. Purtroppo o per fortuna non è più scontato che i partiti siano l’unica forma possibile di democrazia organizzata, anche un veterano politico come lui deve prenderne atto. Se neanche per rispetto della Costituzione si è mai votata una legge che ne regolamenti il funzionamento democratico, vuol dire che in Italia per loro natura i partiti sono refrattari a tale vincolo previsto dalla nostra Carta fondamentale. Gli sconfinamenti nell’antipolitica, nella demagogia, nel populismo, ormai sono anch’essi drammaticamente trasversali.

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