Benigni, Aldo Grasso e le Dieci Parole ridotte a idolatria

martedì, 16 dicembre 2014

Non mi sono mai permesso di replicare a una critica televisiva di Aldo Grasso, neanche quando riguardava il mio lavoro: l’autonomia di giudizio va sempre rispettata, tanto più che si tratta di televisione, non di Giudizio Universale. Dunque non entrerò nel merito della trasmissione di Roberto Benigni sui Dieci Comandamenti, in onda ieri sera e stasera su Raiuno. Vedo che suscita trasversali pareri contrastanti (ha deluso anche Vito Mancuso), com’è naturale che sia per ogni operazione culturale rivolta al grande pubblico.
Non riesco però ad accettare la brusca definizione dei Dieci Comandamenti impiegata da Aldo Grasso per criticare il lavoro di Benigni. Scrive il critico del “Corriere della Sera”: “Se c’è un testo privo di ambiguità, un testo che non ha bisogno di spiegazioni (se mai di applicazioni), è proprio il Decalogo”. Ma dove? Ma quando? Forse che Grasso abbia letto soltanto la versione sintetica (e deformata) del Decalogo così come compare nel catechismo? Possibile che a un uomo di cultura come lui sfugga la complessità, anche linguistica, dei Dieci Comandamenti, per non parlare della loro numerazione, così come si esprime nelle due differenti versioni del Decalogo contenute nell’Esodo e nel Deuteronomio?
“I Comandamenti sono un esempio di limpidità e di concisione”, aggiunge Grasso. Lo invito a leggerne una traduzione letterale dall’ebraico. Per poi dirci, ad esempio, qual è il Primo Comandamento, o come interpreterebbe oggi il “Non commettere atti impuri”… Su Benigni ogni giudizio è lecito, ma per favore non trasformiamo i Dieci Comandamenti in una filastrocca virtuosa da idolatrare come il vitello d’oro.

I commenti sono chiusi.

I commenti di questo blog sono sotto monitoraggio delle Autorità. Ti preghiamo di mantenere i toni della discussione entro i limiti di buona educazione e netiquette in essere come regole del blog. Inoltre usa con moderazione i seguenti comandi di formattazione testo.