Manconi e la soluzione “induista” per i marò

mercoledì, 17 dicembre 2014

Il caso dei marò contrappone l’Italia e l’India da ormai quasi tre anni. La decisione della Corte suprema indiana di non concedere nuovi periodi di allentamento della detenzione dei due militari del battaglione San Marco,  Massimiliano Latorre e Salvatore Girone,ha provocato una forte reazione da parte dei vertici del nostro Paese. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha rimarcato la sua profonda irritazione, mentre il ministro della Difesa Roberto Pinotti ha palesato l’intenzione del Governo italiano di non voler far ritornare Massimiliano Latorre in India, vista la sua esigenza di proseguire le cure nel nostro Paese. Il ministro degli Esteri Gentiloni ha  deciso di richiamare l’ambasciatore in India, Daniele Mancini, per consultazioni. Gentiloni ha precisato come non si tratti di una rottura delle relazioni diplomatiche, che però al momento non viene neppure esclusa. Una soluzione alla vicenda sembra purtroppo molto lontana, anche se secondo il senatore del PD Luigi Manconi un allentamento della tensione politica potrebbe favorirla. Poche settimane fa Manconi aveva partecipato a un convegno in cui era stata esposta dal  presidente dell’Unione Induista Italiana, avv. Franco Di Maria Jayendranatha, una possibile soluzione “induista” al caso dei marò.  Jayendranatha aveva indicato questa posizione anche in un lettera inviata a Renzi e Modi, primi ministri di Italia e India. La soluzione “induista” sarebbe la seguente, ed è illustrata in un lancio dell’Agenzia Parlamentare. È necessario prendere atto del fatto che, sulla base del rapporto della polizia locale, i due militari non hanno compiuto atti volti “intenzionalmente a cagionare la morte dei due pescatori indiani, peraltro sempre presenti nelle preghiere degli induisti italiani” e pertanto non possono essere accusati di reati più gravi dell’omicidio colposo.  Le  pene per questo reato “non superano mai i cinque anni nei due Paesi coinvolti dalla vicenda de marò,  e in India è noto il principio normativo in base al quale, in attesa di giudizio, le misure restrittive della libertà personale non possono mai superare la metà della pena comminabile. Su questa base, ha rimarcato il presidente dell’Unione Induista italiana, i due militari “sarebbero già liberi se solo la loro condizione fosse valutata serenamente, alla luce degli ordinamenti penali di entrambi i Paesi”. Per questo motivo secondo Jayendranatha un via libera della politica o anche una sua dichiarata neutralità favorirebbe grandemente la serenità di giudizio di qualunque magistrato.

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