Una gragnuola di cattive notizie, così Netanyahu descrive gli insuccessi della politica estera del suo governo. Isolato all’Onu e in Europa, mollato dalla Giordania e protetto sempre più malvolentieri dagli Usa, mentre nessuno più in occidente ha convenienza a confondere l’integralismo antisionista di Hamas col terrorismo jihadista di Is. È come se gli eventi pecipitassero tutti insieme sulle spalle d’Israele, complice un primo ministro che per salvare la sua leadership si è imbarcato in una campagna elettorale dissennatamente ridotta in competizione fra estremisti di destra. Dove l’isolamento internazionale viene assunto cone un titolo di merito e l’indifferenza alla sorte dei vicini palestinesi è divenura un presupposto indiscutibile.
Il passaggio difficilissimo che vive Israele è frutto di un’irresponsabilità prolungata negli anni della sua ckasse di governo. In un mondo che cambia rapidissimamente, lo Stato ebraico deve ritrovare una collocazione dinamica, aperta, amichevole, facendo tesoro di un primato economico, sociale e militare che tuttora lo avvantaggia. Prima che sia troppo tardi.