Inquietante lettura l’intervista rilasciata a Nancy Porsia, per “Il Fatto”, dal capo della milizia libica Fajr, giunta a controllare Tripoli dalla sua roccaforte di Misurata. Salah Badi, questo è il nome del signore della guerra libico che si contrappone al generale filo-egiziano Haftar e ai suoi alleati della regione di Bengasi, si presenta con un biglietto da visita che non può lasciare insensibile l’Italia: il commpound oil&gas dell’Eni, sito a Mellita, da dove parte il gasdotto sottomarino che arriva fino a Gela, “è protetto oggi dai nostri uomini”, dichiara Salah Badi, “proprio come l’ambasciata a Tripoli”.
“Per noi l’Italia è sempre la benvenuta perchè abbiamo interessi in comune”, aggiunge il nostro, prima di compiacersi di un paragone storico: “Gli italiani hanno riservato a Mussolini lo stesso trattamento che i libici hanno riservato a Gheddafi. Noi abbiamo esposto il corpo di Gheddafi per cinque giorni, gli italiani hanno tenuto in piazza il corpo martoriato del Duce”.
Orbene, al di là di queste suggestive reminiscenze, la notizia è che l’Eni e l’ambasciata italiana si trovano sotto la “protezione” di una fazione, Fajr, il cui comandante non smentisce l’alleanza con fazioni jihadiste vicine all’Isis, e ammonisce l’Onu: se non vi sbrigate a accogliere le nostre richieste, vi toccherà fare i conti direttamente con i fondamentalisti.
La Libia è un ginepraio nel quale probabilmente oggi non esiste un solo interlocutore affidabile. Ma certo sapere che oggi i nostri rifornimenti energetici e la nostra politica di sicurezza devono far conto su Salah Badi e personaggi della sua levatura, a 200 chilometri dalle coste italiane, non è per niente rassicurante.