La figuraccia del Maroni guaritore di gay (ma anche dei vertici Expo)

lunedì, 5 gennaio 2015

Questo articolo è uscito sulle pagine milanesi di “La Repubblica”.
Pensava di fare il furbo, Roberto Maroni, strizzando l’occhio all’ala più retriva e folcloristica della sua coalizione. Un bel convegno dei tradizionalisti cattolici affiancati da Obiettivo Chaire, l’associazione dei volonterosi che pretenderebbero di fornire aiuto psicologico alle persone “ferite nella propria identità sessuale, in particolare per tendenze di natura omosessuale”.
Me lo vedo che ridacchia sotto i baffi, il governatore Maroni, non certo il tipo che si appassiona alle controversie ideologiche: “Vado lì, dico le solite due stupidaggini sui valori della famiglia tradizionale, faccio una battuta contro i matrimoni gay… così faccio contento Salvini e mi tengo buoni i ciellini…”.
Non pago di intestarsi le conclusioni di un simposio dedicato a temi così elevati, già che c’era, ha pensato bene di concedergli pure l’uso del marchio Expo. Niente a che vedere con il tema del cibo e del pianeta da nutrire? Vabbè, chi volete che se ne accorga?
Temo che Maroni, per ignoranza, abbia sottovalutato la grana in cui andava a cacciarsi, soprattutto alla vigilia di un evento di natura internazionale. Da tempo nelle democrazie occidentali non è più consentito mancare di rispetto ai cittadini sulla base del loro orientamento sessuale e affettivo. Per esempio descrivendoli come amorali per le loro scelte sentimentali, o malati da curare. Dispiacerà forse a Maroni (e a Salvini) ma, fra i partecipanti all’Expo, gli unici Stati che possano apprezzare un simile convegno, nel quale si dà per scontato che l’omosessualità sia una ferita da curare, e una minaccia per la società, saranno quelli sottomessi al fondamentalismo islamico.
Cavarsela ora invocando il sacro principio del pluralismo culturale, è un escamotage da quattro soldi: nessuno vuol negare alle più variopinte sigle di natura politica o religiosa il diritto di esprimersi sulle leggi che regolano il matrimonio o anche sulle delicate frontiere della sessualità nel tempo contemporaneo. A tutt’oggi, purtroppo, in Italia non è reato neppure definire l’omosessualità come vizio o malattia (guarda caso in Parlamento si registra una strenua resistenza all’approvazione del reato di omofobia). Ma il convegno fondato su una simile impostazione, se concluso dal presidente della regione e se insignito del marchio Expo, diventa altra cosa: corrisponde alla legittimazione istituzionale di una visione discriminatoria che addita una parte dei cittadini lombardi come pericolosa per gli altri, sulla base delle loro tendenze sessuali.
Per questo ha fatto una figuraccia anche la direzione dell’Expo quando, invece di protestare per l’impiego abusivo del suo marchio, ha pensato di lavarsene le mani pubblicando su Facebook la frase di circostanza: “Viviamo in democrazia”, poi frettolosamente rimossa. Altro che visione planetaria! Suscita imbarazzo il provincialismo di chi usa la piattaforma dell’Expo per esporre una nozione di democrazia. Metterebbero il loro marchio anche sul manifesto di un simposio sull’inferiorità della donna, o su un bel raduno di storici negazionisti? Perché non offrire la tribuna direttamente agli integralisti islamici che, su famiglia e omosessualità, possono offrirci una casistica di interventi davvero edificante?
Perfino un leghista pragmatico come Maroni sembra così coinvolto in una spirale di radicalizzazione dello schieramento politico di destra che, faticando a trovare le comode sponde del passato nell’autorità della Chiesa (ai loro occhi perfino papa Francesco è divenuto un pericoloso sovversivo), perde contatto con i moderati. Regala uno spazio insperato agli estremisti. Non solo politici: in questo caso anacronistici clericali senza Chiesa.
Peccato che nella figuraccia sia coinvolta un’istituzione regionale che dovrebbe essere di tutti.

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