Viviamo di nuovo un tempo di guerra, e non possiamo fingere che non ci riguardi. La vergognosa rivendicazione dei bombardamenti sulla città di Mariupol da parte del filorusso Aleksandr Zakharcenko, presidente dell’autoproclamata repubblica di Donetsk (“i missili Grad sono il nostro monumento ai caduti”), evidenzia che la situazione non è più sotto controllo. Così una strage di civili segue l’altra, in una logica feroce di vendetta indiscriminata. Dopo l’eccidio dell’autobus, ora i filorussi reagiscono bombardando un mercato e le case di una città rimasta fedele a Kiev. Il numero dei morti e dei feriti innocenti si innalza: almeno in 27 hanno perso la vita, i feriti sono quasi un centinaio.
Può darsi che la situazione sia sfuggita al controllo di Putin, che però ha armato e sostenuto i secessionisti, così come gli oltranzisti ucraini si sottraggono alla disciplina del presidente eletto Petro Poroshenko. Una situazione simile a quella dell’ex Jugoslavia vent’anni fa. I signori della guerra, divisi in bande, boicottano gli sforzi diplomatici e fanno precipitare la situazione. Solo che stavolta la guerra può contagiare i paesi confinanti con la Russia, trasformandosi in incontrollabile conflitto europeo.
O l’Unione Europea di Bruxelles saprà trasformarsi in potenza statale sovranazionale, oppure finirà per esserne essa stessa dilaniata. Illudersi che il conflitto possa essere circoscritto lontano dai nostri confini è un’ingenuità, così come è ingenuo sperare che la logica imperiale di Mosca possa essere contenuta da Putin, a sua volta un leader trascinato dalla furia delle dinamiche nazionaliste che egli stesso ha fomentato.
Le nostre frontiere sono in fiamme, a est come a sud.