Ricordo la fretta con cui Berlusconi fece organizzare manifestazioni “spontanee” intorno a Montecitorio, nell’aprile 2013, non appena saputo che il Pd candidava Romano Prodi per il Quirinale. Ci fu in effetti una gazzarra di piccoli manipoli insignificanti, amplificati quanto basta dai giornali della destra per sostenere che Prodi sarebbe stato un presidente “divisivo”. Questa parola, “divisivo”, non è mai stata adoperata per nessun altro quirinabile. Strano. In fondo Prodi è un cattolico moderato. Teoricamente a destra dovrebbero soffrire di più gli ex comunisti. E invece…
Guarda, guarda, anche nel 2015 se c’è stato un nome escluso in partenza perché incompatibile col patto del Nazareno, quello è stato proprio il nome di Prodi. Incompatibile perché troppo autonomo, non integrabile nel patteggiamento e non riducibile a pedina sottomessa. Peggio, dotato di relazioni internazionali in proprio, per giunta irrobustite da una visione europeista.
Prodi ha capito l’andazzo e si è chiamato fuori dalla partita. Conoscendolo, dubito che gradirebbe di rientrarvi come grimaldello, cioè solo come figura di sabotaggio del patto del Nazareno.
Temo sia solo una furbizia tardiva quella escogitata da Grillo e Casaleggio che oggi lo indicheranno fra i candidati possibili. Un po’ poco, un po’ tardi. Di fronte all’accelerazione degli eventi europei, dalla Grecia all’Ucraina passando per la tensione con la Germania e la guerra sulla sponda Sud del Mediterraneo, era lecito attendersi un minimo di lungimiranza da una classe politica che invece sa solo curare -e male- il suo orticello.