Spinelli: Grecia, per l’Europa è il momento della verità

martedì, 10 febbraio 2015

Questo intervento di Barbara Spinelli è stato pubblicato sulla prima pagina de “Il Fatto”.

In un’Unione malata, divisa, minacciata da povertà e diseguaglianze crescenti, siamo convinti che le proposte avanzate dal governo greco dopo le elezioni del 25 gennaio vadano attentamente esaminate e discusse: tra i 28 Stati membri, tra i 19 governi dell’eurozona, e nella Commissione, nel Parlamento europeo, nella Banca centrale europea. Riteniamo non solo ingiuste e in alcuni casi pericolosamente antidemocratiche le risposte fin qui date ad Atene, ma del tutto controproducenti. La possibilità di cambiare radicalmente rotta, nell’amministrazione della crisi e nei programmi di austerità, viene esclusa a priori. La domanda stessa formulata dal governo Tsipras – non una cancellazione del debito ma un negoziato sulle modalità dei rimborsi e un aggancio di questi alla crescita – viene arbitrariamente travisata, demonizzata, e rigettata. Vince l’autocompiacimento della fede, contro i fatti e l’evidenza dei fatti. La malattia, non curata, coscientemente la si vuol perpetuare.

Per questo ci allarmiamo, quando i governi (e in primis il governo tedesco) lasciano sola la Banca Europea, con le uniche risposte tecniche che le sono consentite, a sciogliere nodi che essendo eminentemente politici non le spettano. Sola, ad annunciare che non acquisterà più i titoli di Stato ellenici, e a dare alla Grecia pochi giorni di tempo per rientrare nei ranghi e obbedire alle direttive impartite a suo tempo dalla troika (la BCE lascia tuttavia una porta aperta: la possibilità di erogare Liquidità d’emergenza attraverso l’ELA). Vuol dire che la richiesta di studiare il piano ellenico di rientro dal debito non sarà neppure presa in considerazione. Che al governo greco è vietato fronteggiare l’emergenza umanitaria con aumenti del reddito minimo, con la restaurazione di servizi pubblici basilari nell’istruzione e nella sanità, con nuovi investimenti, con tasse patrimoniali. Vuol dire che non si discuterà del Piano Marshall – ben più consistente del Piano Juncker – che il ministro del Tesoro Yanis Varoufakis ha proposto al governo Merkel, chiedendogli di divenire l’“egemone” di un’Europa da guarire e rifondare. Vuol dire che l’Europa così com’è non è considerata affetta da una crisi sistemica, che mette in questione non qualche Stato indebitato ma l’intera architettura dell’unione monetaria. Significa infine chiudere gli occhi di fronte all’essenziale: il divario che va estendendosi fra la sovranità dei cittadini, iscritta nelle singole costituzioni, e quello che l’élite decide al loro posto. Il fastidio è palpabile e diffuso, verso il tribunale democratico che sono le elezioni.

 

Non vogliamo il ritorno delle Banche centrali nelle mani degli Stati, né la fine dell’indipendenza dell’istituto di emissione. Riteniamo che tale indipendenza rappresenti non un ostacolo, ma una precondizione perché il pubblico interesse sia almeno parzialmente tutelato dall’intrusione imprevedibile e infida dei mercati, delle lobby, delle forze politiche di questo o quello Stato. La vera insidia non è racchiusa nell’indipendenza della Banca centrale, ma nella sua eccessiva solitudine. Un comune istituto di emissione senza Europa politica per forza di cose sarà accusato di ingerenza e prepotenza. La Banca centrale è, e deve rimanere, un’istituzione con compiti limitati; non può colmare le lacune della politica. Tuttavia, deve essere più che mai consapevole delle speciali difficoltà e responsabilità che derivano dall’anomalia di una moneta senza Stato.

In quest’ambito ricordiamo che una moneta è legittimata se costituisce lo strumento di pagamento e di scambio di un territorio dotato di un governo, in mano a un sovrano politico: in democrazia, un sovrano legittimato dalle urne. Se l’euro non è legittimato, è perché continua a essere una moneta senza Stato. Contrapporre le riforme strutturali dell’eurozona al verdetto delle urne, e affermare che le elezioni democratiche non hanno effetto alcuno sugli accordi di gestione della crisi che hanno prodotto disastri umanitari in uno Stato membro è una regressione gravissima. Questa regressione è in atto da molti anni: perdono peso le Costituzioni, i Parlamenti, gli appuntamenti elettorali. La crisi economica che traversiamo è sfociata in crisi delle democrazie.

Continuare a ripetere che “l’euro è irreversibile”, non ha più senso. È un sotterfugio performativo, che appartiene alla sfera del pensiero magico e non ha nulla a che vedere con la realtà e con la sua possibile evoluzione. Nessuna conquista politica o sociale è irreversibile. Non dobbiamo andare molto indietro nella storia per sapere che la nostra civilizzazione è, come tutte le altre, mortale.

Barbara Spinelli

 

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