I clan di potere locale che in Italia azzoppano la destra nazionale

mercoledì, 25 febbraio 2015

Il braccio di ferro davvero antiestetico in atto fra Zaia e Tosi in Veneto, si risolverà probabilmente con la sconfitta del sindaco di Verona, ormai isolato all’interno della Lega per via della sua pretesa di presentare una sua lista personale alle elezioni regionali. Ma guardandola un po’ più da lontano, questa sfida interna evidenzia una costante della destra italiana del dopo Berlusconi: in assenza di una leadership personale e politica resa forte dalla somma di potere mediatico e potere economico, la destra in Italia segue le pulsioni localistiche di una composizione sociale frastagliata. Talora, specie al sud, coincide con l’economia illegale organizzata sul territorio (scusate l’eufemismo, ci siamo capiti); ovunque tende a riconoscersi in dirigenti che somigliano piuttosto a capiclan solisti, abili nella gestione locale, che non a dirigenti politici interessati a un progetto nazionale collettivo.
Ora Matteo Salvini si è convinto di poter riempire il vuoto di rappresentanza in cui si dibatte la destra italiana, solo grazie alla sua abilità mediatica. La leadership di Salvini è oggettivamente assai modesta rispetto a quella di Berlusconi. La sua biografia familiare non è paragonabile neppure a quella della dinastia Le Pen. I rivali interni, come Tosi, lo avvertono e non hanno timidezze nel delegittimarlo proprio alla vigilia di appuntamenti per lui importanti come la manifestazione leghista convocata a Roma sabato prossimo. Ne viene fuori una dinamica lacerante che non necessariamente penalizzerà la Lega di Salvini nei consensi elettorali, ma che paradossalmente ricorda alla Lega stessa quello che per sua natura essa dovrebbe riconoscere: in Italia la destra nazionale è azzoppata in partenza dai clan di potere locali. A meno di trovare un altro Berlusconi o un altro Mussolini, figure alle quali Salvini non è in grado di assomigliare.

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