Intesa col Vaticano, verso la fine del segreto bancario dello Ior

sabato, 7 marzo 2015

L’Istituto per le opere religiose, lo Ior, coinvolto in passato più e meno recente in diversi scandali finanziari favoriti dalla schermatura che offriva ai suoi correntisti, perderà il segreto bancario. Come informa un articolo di “La Repubblica” di sabato 7 marzo 2015 firmato da Ettore Livini, le trattative per la ratifica di un accordo fiscale tra Italia e Città del Vaticano sarebbero molto avanzate, e prossime alla conclusione. Il nostro Paese, dopo aver siglato simili intese con Svizzera, Principato di Monaco e e Liechtenstein, sarebbe così in grado di impedire ai nostri contribuenti di trasferire i loro soldi in un paradiso fiscale.

 

 

tto nasce dalla volontary disclosure. Il ministero dell’Economia ha varato la norma che facilita il rientro dei capitali dai paradisi fiscali, con il dimezzamento delle sanzioni per chi riporta a casa i soldi, ma la norma fornisce anche ai paesi l’opportunità di essere cancellati dalla black list se firmano un’intesa bilaterale con l’Italia per uno scambio di informazioni prima del 2017. Dopo la firma della Svizzera Monaco e Liechtenstein si sono accodati, per un incasso totale che si dovrebbe attestare a quiota cinque miliardi. Poi è arrivato il Vaticano: con la Santa Sede andrà alla firma un trattato internazionale sullo scambio di informazioni bancarie. Con la firma dell’accordo fiscale, ispirato al protocollo Ocse che entro il 2017 restringerà significativamente il numero dei paradisi fiscali a livello internazionale, l’Italia potrebbe concludere una una definitiva regolarizzazione dei conti dell’Istituto per le Opere Religiose. Secondo il Vaticano i conti aperti allo Ior sono 19mila, tra correntisti esteri, cittadini della Santa Sede e istituti religiosi. Nel 2014, quando è stato impresso il nuovo corso di trasparenza finanziaria voluto da papa Benedetto XIV e accelerato da Francesco, sono stati chiusi oltre 3 mila depositi bancari, di cui circa 800 italiani. L’accordo con il nostro Paese ha due obiettivi, ovvero la sigla di un protocollo sulla doppia imposizione fiscale, in modo che chi investe o deposita i propri denari nella Città del Vaticano debba pagare le tasse anche nel paese di residenza, cioè in Italia. Linea che sembrerebbe già accettata dal Vaticano. L’altra misura centrale dell’accordo fiscale sarebbe quella di di aderire allo schema che garantisca lo scambio automatico di informazione bancarie su richiesta dell’Agenzia delle Entrate. Il modello del protocollo Ocse che entrerà in vigore nel 2017 negli oltre 90 Paesi che l’hanno firmato, e che ha costituito il modello delle intese con Svizzera, Monaco e Liechtenstein. Nei mesi scorsi in Italia è entrata in vigore la legge sulla “voluntary disclosure”, che permette il rimpatrio dei capitali trasportati illegalmente all’estero così come la loro tassazione senza conseguenze penali nella loro denuncia, che ha favorito questo processo. Su “Repubblica” Livini l’esigenza di un nuovo corso trasparenza del Vaticano dopo i problemi del passato. ” «Anche per lo Ior servirà una sorta di scudo — spiega un banchiere che conosce bene la materia—, che regolarizzi gli errori e le sviste del passato». Ed è principalmente per arrivare a delle linee guida che permettano al Vaticano e all’Italia di sapere come comportarsi ora che l’accordo annunciato da Matteo Renzi e confermato ieri da padre Lombardi è in dirittura d’arrivo. Qualsiasi sia l’esito della trattativa, una cosa è certa: i tempi in cui il Vaticano negava una risposta alle rogatorie e alle informazioni è finito. Il percorso di trasparenza è ormai ineludibile,e molto lo si deve a Benedetto XVI, che per primo istituì l’Aif,l’autorità d’informazione finanziaria che vigila su eventuali irregolaritàall’interno delle finanze vaticane”.

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