A Safed, sul ciglio dell’inferno siriano, aspettando il Messia

venerdì, 13 marzo 2015

Da domenica scorsa mi trovo a Safed, la piccola città mistica da sempre residenza dei maestri della Kabbalah ebraica, nell’alta Galilea, a pochi chilometri dal confine siriano. Difatti ho avuto la possibilità di visitare i feriti gravi che un tacito accordo umanitario consente di espatriare qui dal confine del Golan: bambini, gestanti, ma anche miliziani senza nome curati da medici israeliani. Ne sono già passati a centinaia dall’ospedale di Safed, scortati da Tsahal, per poi fare ritorno nell’inferno di là dalla frontiera.
Ma quello che vorrei trasmettervi oggi è la sensazione impressionante di distacco che si vive qui rispetto alla limitrofa, raccapricciante guerra civile iniziata quattro anni fa. Incombe, certo. Ma come evento sovrastante per certi versi benefico, in quanto allenta la minaccia militare costituita dal regime di Damasco. Quanto alle atrocità, molti le accolgono come un segnale divino: le doglie del Messia, la cui venuta è imminente, dunque si annuncia per il tramite di catastrofi e sommovimenti epocali.
Così i mistici ebrei di Safed, piuttosto indifferenti alla sorte politica di Netanyahu e alle elezioni israeliane di martedì prossimo, si compiacciono del miracolo: vivere in pace sospesi nel mezzo di una catastrofe, nella certezza della prossima redenzione nel Mondo a Venire. Qui, tant’è, la parola Apocalisse è considerata sinonimo di liberazione. Beata incoscienza? Non dissimile da quella che affligge l’Europa, solo di poco più distante dall’inferno siriano.

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