Basta un Conte Tacchia per umiliare la security di Milano

venerdì, 10 aprile 2015

Questo articolo è uscito su “La Repubblica”

Aspettavamo il terrorista islamico e invece è arrivato il Conte Tacchia a seminare la morte nel centro di Milano, umiliando i servizi di sicurezza di una metropoli che sta preparandosi niente meno che all’Esposizione Universale.
Scartata la matrice jihadista -intorno alla quale, per colmo di beffa, stavano discettando il ministro Alfano e il prefetto riuniti proprio lì vicino al Tribunale nell’altisonante Comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico- si era pensato in alternativa a un episodio di sociopatologia da disagio metropolitano: sono migliaia nell’hinterland milanese gli uomini di mezza età che dopo aver perso il lavoro entrano nel tunnel della malattia mentale e devono ricorrere a cure psichiatriche. C’era il precedente del disoccupato Luigi Prieti che per vendetta due anni fa aveva sparato a un carabiniere davanti a Palazzo Chigi. Un altro squinternato pochi giorni fa ha esploso colpi di pistola davanti al Tribunale di Reggio Calabria.
Invece niente di tutto questo. Il pluriomicida Claudio Giardiello sembra spuntato piuttosto dalla sceneggiatura del film “Il capitale umano” di Paolo Virzì. Somiglia maledettamente all’immobiliarista spiantato Dino Ossola, che nel film è interpretato da Fabrizio Bentivoglio, un arrampicatore disposto alla truffa pur di ascendere fra i nuovi ricchi della Brianza. Proprio come Giardiello, brianzolo d’importazione, arrestato in un centro commerciale di Vimercate dopo aver sfogato la sua furia omicida sull’ex socio, sul giudice fallimentare e sull’avvocato che –visto il tipo- aveva rinunciato all’incarico.
Non possiamo neppure tirare in ballo la grande crisi immobiliare, visto che la storiaccia dei soldi spartiti in nero fra i soci della Magenta risale al 2008. Evasione fiscale maldestra, con protagonisti degni dei soprannomi che si erano attribuiti da soli: Conte Tacchia, Tinto Brass, il Marchesino, il Predatore. Non fosse una tragedia, ci sarebbe da ridere e da farci un altro film di genere brianzolo, nonostante le polemiche suscitate da “Il capitale umano” in quella provincia che si sentì diffamata.
La rovina economica dopo il miraggio dei milioni facili sottratti ai bilanci, ha mandato fuori i testa uno dei tanti avventurieri nostalgici della Milano da bere. Gente che al cospetto di un giro d’affari troppo grossi, così grossi da richiamare a Milano i capitali stranieri tagliando fuori ciò che resta della borghesia ambrosiana, si aggira sperduta ai margini, ricacciata nella mediocrità.
L’allarme sociale, la nuova violenza metropolitana, checché ne dicano i profittatori alla Salvini, non ha il volto degli emarginati di sempre, i soliti famigerati rom. Ci fu, è vero, l’orribile caso dell’africano Kabobo che in preda a una crisi massacrò a picconate tre passanti nel maggio 2013 in zona Bovisa. Seguito da un italiano fuori di testa, il grafico Davide Frigatti, che fra Cinisello e Sesto San Giovanni, accoltellò a morte un malcapitato e ne ferì gravemente altri due nel giugno 2014. Casi estremi di malattia mentale che trasforma dei poveracci in assassini, lontano dai giri dell’immobiliare e dei bilanci truccati. In comune con il giustiziere killer di Palazzo di Giustizia hanno solo la follia violenta che dilaga in una società sempre più abituata a considerare le regole come intralcio per i fessi. Perché l’arricchimento è un terno al lotto, fare fatica è la sorte degli sfigati. Una malattia sociale, oltre che una malattia mentale.
Milano si ritrova ferita e umiliata proprio nel luogo simbolo dell’amministrazione della giustizia, là dove, in condizioni ostiche, si cerca di combatterne la criminalità organizzata sempre più forte e la corruzione mai estirpata. E proprio qui si misura la gravità dello scandalo che ci fa sentire in balia del primo violento che passa.
E’ scandaloso, si è giustamente denunciato, che Claudio Giardiello sia potuto entrare in Tribunale armato di pistola, eludendo con facilità il controllo dei metal detector. Ma è addirittura incredibile che dopo aver sparato numerosi colpi di pistola, quando avrebbe dovuto scattare un collaudato servizio di sicurezza, mentre centinaia di persone sciamavano in preda al panico, l’assassino abbia potuto andarsene via indisturbato a bordo della sua moto. Bravi i carabinieri che lo hanno intercettato a chilometri di distanza. Ma chi avrebbe dovuto bloccare subito le uscite, e fare filtro per evitare che tra i fuggiaschi potessero confondersi il killer o chissà quali altri attentatori, si è rivelato vergognosamente inadeguato. Ieri Milano non ha assistito solo alla morte assurda di quattro innocenti, tra cui un giudice che stava amministrando la giustizia in nome dello Stato. La città dell’Expo ha anche evidenziato davanti al mondo di trovarsi in balia –in uno dei suoi punti nevralgici- di chiunque progetti nei prossimi mesi di seminarvi il terrore.
I responsabili di questa disastrosa inefficienza degli apparati di sicurezza devono essere puniti con severità. E speriamo che ci sia il tempo di correre ai ripari dopo una tale esibizione di sprovvedutezza.
Sullo sfondo, dietro alla pistola fumante di Claudio Giardiello, aleggia una rabbia ferina, diffusa e inquietante. Le forze dell’ordine ne sono consapevoli, almeno ai loro livelli più bassi. Martedì scorso sono andato al Comando della Polizia Stradale in via Jacopino da Tradate, nella difficile periferia nord-ovest, per pagare una multa. All’ingresso mi sono ritrovato davanti un agente col mitra e il giubbotto antiproiettile che mi ha minuziosamente perquisito, davanti e di dietro. Gli ho chiesto se fosse prevenzione antiterrorismo e lui mi ha risposto: “Veramente qui arriva gente furibonda, che vive le contravvenzioni come un sopruso. Dobbiamo controllare che non entrino armati e non abbiano strane idee di vendetta”.
Perché invece a Palazzo di Giustizia, in pieno centro, un killer può passare indisturbato?

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