Il prezioso candore di Francesco che chiama il genocidio col suo nome

martedì, 14 aprile 2015

Questo articolo è uscito su “La Repubblica”.
L’ostinazione con cui il governo turco proibisce ai suoi stessi cittadini di fare i conti con lo sterminio degli armeni perpetrato un secolo fa, si scontra infine con il candore di Francesco, cioè il papa che meno di qualunque altro fra i suoi predecessori si concepisce capo di Stato, assoggettato come tale ai vincoli della realpolitik.
Quasi tutti gli storici concordano nel ritenere la cifra delle vittime, persone uccise o morte di stenti nel corso della deportazione di massa che nel 1915 le ha strappate alle loro case, ampiamente superiore al milione. E’ altrettanto incontestabile che quel massacro sistematico di un popolo intero, svolse una funzione decisiva nell’ispirare Adolf Hitler: gli fece cioè balenare la possibilità concreta, anche nell’età contemporanea, di concepire una “soluzione finale” di sterminio industrialmente pianificato. A partire dal 1951, dopo un ampio dibattito, le Nazioni Unite hanno deliberato che crimini di questo tipo, miranti all’eliminazione fisica di un’intera popolazione, debbono essere definiti con il termine “genocidio”. Fu un avvocato ebreo di Leopoli, prima ancora che la sua famiglia scomparisse nel gorgo della Shoah, a coniare la parola “genocidio” che gli venne ispirata dalla fine degli armeni nell’indifferenza della comunità internazionale. Lemkin condusse per decenni, in solitudine e con pochissimi mezzi, la sua battaglia per un diritto internazionale adeguato al ripetersi di crimini di Stato. Trovò udienza solo al termine della seconda guerra mondiale, dopo che quella tragedia si era replicata, su scala ancora maggiore, nel cuore dell’Europa.
L’impoliticità di papa Francesco e la reazione furiosa delle autorità turche, stanno provocando un sano cortocircuito. A dimostrazione del fatto che le ferite della storia non si rimarginano mai spontaneamente, che l’atavica legge del più forte non basta più a seppellire la memoria dei vinti. E’ orribile l’insinuazione di Ankara, secondo cui a influenzare Bergoglio sarebbe stata niente meno che la “lobby armena” insediatasi a seguito della diaspora novecentesca in Argentina. E’ il solito bieco argomento rivolto contro le vittime che non accettano di rassegnarsi in silenzio, alle quali viene attribuito subdolamente chissà quale potere e volontà sopraffattrice.
Ma l’impoliticità di papa Francesco mette a nudo anche l’imbarazzante cinismo degli Stati e dei governi refrattari a assumere la priorità dei diritti umani quando in gioco ci sono interessi economici, militari e geopolitici. Per fortuna ieri sera il ministro Gentiloni è intervenuto, sia pure con estrema cautela, a rettificare l’infelice sortita di un sottosegretario che non aveva trovato di meglio che bacchettare le parole di Francesco. Rivendicando l’opportunità che il governo italiano, per quieto vivere, releghi il genocidio armeno a mera controversia storica. Niente male per un paese come il nostro che ha appena introdotto con voto parlamentare il (discutibilissimo) reato di negazionismo storico.
Sappiamo bene quanto sia delicato il tema delle nostre relazioni con la Turchia, soprattutto oggi che l’offensiva jihadista divampa sulle coste del Mediterraneo. Il genocidio armeno fu portato a termine da un regime che stava assumendo il nazionalismo più esasperato come nuova politica di potenza, in sostituzione del Califfato islamico morente, quando ormai stava venendo meno la secolare funzione imperiale del Sultano di Istanbul.
Di nuovo oggi Erdogan aspira a disseppellire il miraggio dell’impero ottomano. Fallito il tentativo di presentarsi come riferimento di nuovi modelli statali islamici, fondati sull’integralismo dei Fratelli Musulmani sconfitti in Egitto e Tunisia, il presidente turco non rinuncia a proporsi come leader del mondo sunnita. Fino al punto di avere intrattenuto una relazione ambigua con l’Is, che troppo a lungo ha potuto utilizzare la penisola anatolica come retrovia. Anche l’inusitata durezza con cui Ankara reagisce alle parole di Francesco, sembra mirata a trasformare la questione armena in fattore di contrapposizione religiosa fra mondo islamico e mondo cristiano.
Evitare di cadere in questa trappola, non ci esime dal tenere duro sui principi su cui si fonda la nostra civiltà occidentale. La quale, per sua natura, di fronte a un genocidio si fa carico del punto di vista delle vittime. Opponendosi alla pretesa di chi vorrebbe rimuovere con la prepotenza una memoria insanguinata. Anche chiamando col suo nome un genocidio
La candida potenza di Francesco, il vescovo di Roma che rimette in discussione le logiche statuali con cui si è mossa per secoli la Chiesa cattolica, è una potenza davvero inerme. Ma è un richiamo di verità cui neanche la più machiavellica delle diplomazie europee può sottrarsi.

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