Calpestata la minoranza Pd: è difficile giustificare una crisi per la legge elettorale

martedì, 21 aprile 2015

La presidenza del gruppo del PD alla Camera dei Deputati ha deciso la sostituzione di dieci parlamentari membri della commissione Affari Costituzionali, visto che  non avevano garantito il loro appoggio nelle votazioni sull’Italicum. Si tratta di Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo, Rosy Bindi, Andrea Giorgis, Enzo Lattuca, Alfredo D’Attorre, Barbara Pollastrini, Marilena Fabbri, Roberta Agostini, Marco Meloni. Tra questi deputati ci sono un ex segretario e due ex presidenti del Partito Democratico, e la scelta di Renzi evidenzia come il presidente del Consiglio sia determinato a perseguire con assoluta determinazione l’approvazione dell’Italicum così come è stato licenziato dalla prima lettura del Senato. Se il testo uscito dalla Commissione avesse subito modifiche il governo avrebbe dovuto ipotizzare un maxi emendamento che lo ripristinasse. In un caso simile porre la fiducia sarebbe stato oltremodo complicato. La decisione presa da Renzi e dalla sua maggioranza appare legittima dal punto di vista della forma, ma sempre più difficile da sostenere dal punto di vista della sostanza politica. L’Italicum è sì stato approvato dalla  direzione e dal gruppo del Partito Democratico, ma il sostegno del 60% dei deputati appare una base quantomeno fragile per una forzatura così marcata. Il PD rischia una gravissima frattura al suo interno, che rapidamente esaurirebbe l’esperienza di questo governo. Se le posizioni rimanessero immutate, le riforme costituzionali non potrebbe probabilmente passare al Senato, e di conseguenza l’Italia tornerebbe a votare con due sistemi elettorali  contrapposti. Premio di maggioranza del 55% dei seggi alla Camera dei Deputati per la lista vincitrice, proporzionale con soglia di sbarramento per il Senato della Repubblica. Questo scenario non è il più probabile, ma potrebbe diventare l’esito di una prova di forza che si sta giocando sulle regole della democrazia. In teoria l’approccio opportuno, e rivendicato da tutti a inizio del percorso, sarebbe la condivisione più ampia possibile della riforma elettorale, mentre il governo Renzi sembra perseguire l’ipotesi di un’approvazione dell’Italicum a botte di colpi di fiducia. Neanche Silvio Berlusconi con il Porcellum osò arrivare a tanto, e la citazione della mozione di fiducia posta dal governo De Gasperi sulla cosiddetta “legge truffa” non pare un buon precedente, considerati sia l’unicità del precedente che il suo successivo fallimento. L’ampia maggioranza del PD alla Camera dei Deputati si basa su un premio bocciato come incostituzionale dalla Consulta, e sul trasformismo di numerosi parlamentari. Un po’ di saggezza non guasterebbe, a meno che l’Italicum non sia un proxy per una rottura perseguita da ambo le parti, che segnerebbe una sconfitta gravissima per la sinistra italiana. Come mostrano i sondaggi, il PD ha pochi punti di vantaggio a livello nazionale su un centrodestra formato da FI, Lega e FdI, e una sua frattura lo renderebbe probabile minoranza. Un simile scenario consiglierebbe davvero cautela, anche per non far naufragare l’unica esperienza di governo al momento pensabile per il nostro Paese. Uno dei successi più brillanti di Matteo Renzi è stata l’elezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica, ottenuta grazie alla compattezza del PD su questa candidatura. Recuperare un po’ di quello spirito farebbe bene al presidente del Consiglio e anche ai suoi avversari interni, guidati da Pierluigi Bersani.

I commenti sono chiusi.

I commenti di questo blog sono sotto monitoraggio delle Autorità. Ti preghiamo di mantenere i toni della discussione entro i limiti di buona educazione e netiquette in essere come regole del blog. Inoltre usa con moderazione i seguenti comandi di formattazione testo.