Stanno arrivando. La spiaggia Zephiros di Rodi e l’incontro fra i sud del mondo

martedì, 21 aprile 2015

Questo articolo è uscito su “La Repubblica”.

Sono arrivati. Sono gli uomini nuovi che stanno cambiando non solo la storia ma anche la geografia del Mediterraneo. Molti di loro non avevano mai visto prima il mare. Lo temono. Basta uno spruzzo a spaventarli. Fra gli scogli della spiaggia di Zephiros, a Rodi, i soccorritori gli urlano di mollare quelle inutili assi di legno in cui s’è frantumato il barcone e di muovere finalmente i pochi passi che gli mancano per raggiungere la terraferma. Ma la schiuma delle onde li paralizza. Bisogna raccoglierli uno a uno, frantumi anch’essi di un moto d’umanità impossibilitato a fermarsi. La paura ce l’hanno dentro da troppo tempo, da vite intere, perché possa bastare l’incognita visione del mare ad arrestarli. Sono denutriti e disidratati, ma hanno unghie forti. Si aggrappano e non mollano la presa.
Papa Francesco, che riveste l’incarico di parlare a tutti noi dubbiosi, ha sentito il bisogno di precisarlo perché sa che, in cuor nostro, non è affatto scontato: “Sono uomini e donne come noi”. Davvero? Quegli scheletri dalla pelle scura che per secoli il senso comune relegava alla condizione di selvaggi, sul bordo del regno animale, saranno i nostri nuovi vicini di casa? Francesco osa di più. Li definisce “nostri fratelli”. Cercatori di felicità.
A dire il vero quelli che arrivano in Grecia, allargando il fronte dell’esodo da ovest a est, dalla Libia alla Turchia come basi di partenza, hanno più spesso la carnagione olivastra dei mediorientali: da sola la guerra siriana ha prodotto più di quattro milioni di profughi, fra i quali intere famiglie della classe media in grado di gonfiare coi loro risparmi le tasche dei trafficanti. Niente di più ragionevole, per loro, che tentare l’azzardo di una traversata. Se anche le più efficienti flotte militari dell’emisfero nord, schierate a raggiera lungo l’intera sponda meridionale del Mediterraneo, si prefiggessero lo scopo di arrestarne il flusso con un blocco navale, così moltiplicando il numero dei morti senza nome, resterebbe impossibile fermarli.
Stanno arrivando, inermi e con intenzioni pacifiche, nei luoghi delle nostre vacanze estive. L’ecatombe in corso non basterà a sbarazzarcene. La soluzione-tampone di sparare agli scafisti, ipotizzata già quindici anni fa quando partivano dall’Albania e traversavano l’Adriatico, non corrisponde alla dimensione epocale del rivolgimento planetario in corso.
Nel suo linguaggio semplice, è stato sempre Francesco, pochi giorni fa, ricordando gli eventi del 1915, a parlare di genocidio. Ebbene, l’Europa contemporanea, afflitta dal rapido impoverimento dei suoi paesi rivieraschi, si trova di nuovo a fronteggiare la possibilità di un genocidio, come dimostrano le cifre dei morti e gli sguardi dei sopravvissuti.
Chi scampa alla traversata, chi viene raccolto in mezzo al mare dai mercantili e dalle motovedette, reca a noi questa inoppugnabile testimonianza. Poco importa che si siano ammassati a bordo dei gommoni e dei pescherecci di loro spontanea volontà, dopo essersi svuotati le tasche. La loro condizione umana è in tutto e per tutto simile a quella dei deportati nel cuore dell’Europa settanta anni fa, stipati su carri merci blindati. Identico è l’andare verso l’ignoto, denudati, separati a casaccio dai familiari, umiliati come sottouomini. L’unica differenza è che sta diventando impossibile fingere di non vederli. Non un vescovo, ma una donna laica come Emma Bonino, lo ha detto ieri: l’Europa che ha innalzato il suo ‘mai più’ dopo aver sopportato l’orrore dei forni crematori, finora non ha fatto nulla per impedire l’orrore dei forni liquidi. Pur disponendo di tutte le tecnologie e i mezzi tecnici necessari a monitorare i lager di raccolta dei profughi, i porti di partenza dei barconi e le loro rotte di navigazione, l’Ue con Triton ha dato ordine ai suoi militari di limitarsi al presidio della cosiddetta area Schengen: azione circoscritta non oltre i 30 chilometri dalle nostre coste. Una decisione subita con imbarazzo dalla Marina Militare italiana, tanto più che dal Viminale veniva giustificata asserendo che i 9 milioni al mese di Nare Nostrum –trecentomila euro al giorno- sarebbero una cifra eccessiva.
Così siamo giunti alla situazione odierna. Il cinismo dei governanti e l’indifferenza delle opinioni pubbliche si sono confermati palliativi inefficaci di una Unione Europea rattrappita in una visione miope dei suoi interessi. Ancora oggi i responsabili politici esitano a utilizzare una parola che loro stessi hanno contribuito a rendere impopolare: accoglienza.
La bontà e la cattiveria qui non c’entrano un fico secco. Si tratta di gestire con realismo un flusso migratorio provocato da guerre sfuggite al nostro controllo, cercando di prevenire la saldatura (in parte già avvenuta) fra i trafficanti che monopolizzano la navigazione marittima e i jihadisti che presidiano porzioni crescenti di terraferma.
Eppure ce n’erano, di opportunità d’azione tempestiva. Istituire presidi per l’identificazione e lo smistamento dei profughi già nei loro primi luoghi di transito. Condividere fra gli Stati membri l’accoglimento delle richieste d’asilo, in deroga agli accordi di Dublino. Garantire un servizio di traghetti e voli charter. Forse si fa ancora in tempo.
Non è la prima volta nella storia che approdano sulle nostre coste uomini nuovi. Oggi sostenerlo pare temerario, ma se il Mediterraneo è stato culla di civiltà lo si deve in misura decisiva alle contaminazioni culturali e agli scambi commerciali intercorsi fra le sue sponde, nonostante le guerre e le contrapposizioni religiose. Certo, la catastrofe umanitaria dei nuovi arrivati si abbatte innanzitutto su nazioni impoverite dalle ricette dell’austerità con cui si è pretesa la remissione di debiti inestinguibili.
Poveri europei messi al cospetto di una povertà assoluta. Trascinati in una sorta di guerra del mare che miete vittime a migliaia e che invano si vorrebbe poter ignorare. Però loro arrivano, e quando ci protendono le braccia in mezzo a quel mare non c’è altro gesto d’umanità possibile che protendere verso di loro le nostre braccia. Non c’è altra salvezza che una salvezza comune. L’Europa del sud può aspirare a un futuro di felicità solo ristabilendo armonia con i sud che le si aggrappano dal basso. Restituendo all’Esodo il suo possibile significato di liberazione. Trasformando i sommersi in salvati.

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