Diritto al cibo e sovranità alimentare. Così l’Expo di Milano cerca un’anima

martedì, 28 aprile 2015

Questo articolo è uscito su “La Repubblica”

E’ già una macchia verde il podere di cinque ettari seminato a grano proprio lì sotto all’acciaio dei nuovi grattacieli di Porta Nuova, quelli comprati dal fondo sovrano del Qatar. Uno squarcio cromatico che riassume le contraddizioni della Milano riformista alle prese con la benefica invasione straniera dell’Expo.
Cittadinanza universale. Diritto al cibo. Sovranità alimentare. Tutela delle biodiversità… Sono aspirazioni globali al limite dell’utopia che, in un moto dal basso –con la temeraria pretesa riformista di far coesistere i movimenti alternativi e i colossi dell’agroindustria- vorrebbe sfidare dal suo interno la vetrina del commercio mondiale. Il tentativo è quello di “dare un’anima all’Expo”, raccogliendo la provocazione di Carlo Petrini, portavoce critico del nuovo internazionalismo contadino.
Oggi nell’Aula Magna dell’Università Statale viene presentata la Carta di Milano, un documento programmatico rivolto ai potenti della terra, ambizioso fin dall’intestazione: “Noi donne e uomini, cittadini del pianeta…”. Con la speranza che, quando verrà consegnato il 16 ottobre prossimo al segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, rechi in calce milioni di firme. Un appello senza precedenti, un immenso campo di grano che circondi i grattacieli della speculazione finanziaria.
Dietro la Carta di Milano c’è un lavoro di anni. Il filosofo Salvatore Veca, con la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, ha sperimentato un inedito metodo di consultazione. Ha censito e selezionato innumerevoli rivendicazioni, suggerimenti, pratiche territoriali. Non solo fra i teorici di uno sviluppo ecocompatibile, ma anche fra chi lo ha già messo in pratica ai quattro punti cardinali.
Poiché si rivolge, oltre che ai governi e alle istituzioni sovranazionali, anche alle imprese che traggono profitti dal nostro bisogno primario di nutrizione, la Carta di Milano rifugge ogni velleità ideologica. Sarà brutto a dirsi, ma il cibo e l’acqua da che mondo è mondo sono anche merci, prodotti commerciali. La terra che sfruttiamo, l’energia che se ne trae, sono un patrimonio comune assoggettato a inevitabili vincoli di proprietà. Solo che il cibo, l’acqua, l’energia, non sono merci qualsiasi. E quando la Carta di Milano ricorda che 800 milioni di persone soffrono di fame cronica, più di due miliardi di persone sono malnutrite, mentre vengono sprecate 1,3 miliardi di tonnellate di cibo ogni anno e quasi due miliardi di persone vivono sovrappeso o malate di obesità, diviene evidente l’urgenza di regolare questa materia vitale con gli strumenti di un nuovo diritto internazionale.
Mentre alla Statale gli estensori della Carta radunano alcune delle menti migliori dell’ambientalismo mondiale, Milano è tappezzata di manifesti che pubblicizzano “Tuttofood”, la Fiera del nuovo business alimentare su cui –dopo il successo di Eataly- investe anche un bel pezzo della finanza residua nostrana, da Tamburi a De Agostini a Coop. I padiglioni dell’Expo che venerdì prossimo verranno aperti al pubblico, concederanno a McDonald’s e Coca Cola spazio non inferiore a quello di grandi nazioni, nella certezza di venir ripagati delle decine di milioni spesi per gli allestimenti.
“Nutrire il pianeta, Energia per la vita”, il titolo altisonante dell’Esposizione universale, diviene così oggetto delle ironie dei contestatori che hanno piantato le tende al Parco Trenno e minacciano cinque giornate di antagonismo, si spera pacifico.
E’ in mezzo a questa contraddizione che si intromette l’opzione riformista della Carta di Milano. Vuole radunare i piccoli e gli umili nella rivendicazione che il cibo “non debba mai essere usato come strumento di pressione politica e economica”. Chiede al potere pubblico di esercitare la sua funzione normativa nei confronti delle imprese: da un reddito adeguato per i produttori, alla preservazione delle biodiversità; dal benessere degli animali, a nuove tecniche d’imballaggio; dall’equità nelle regole del commercio, alla certificazione di qualità dei prodotti.
A prima vista può sembrare ingenua questa missione di addomesticamento del capitalismo che nel corso della sua storia ha già schiacciato l’agricoltura, fino a trasformarla nella più umile delle attività umane. Ma la scommessa dei riformisti che cercano di dare un’anima all’Expo è proprio quella di sovvertire i rapporti di forza confidando sui grandi numeri. Cioè mobilitando una platea mondiale che non può essere costituita solo dai pur attesissimi visitatori. Dieci milioni di biglietti già venduti, e si spera che raddoppino. Tra di loro, spiccheranno per importanza alcune migliaia di giovani contadini, allevatori, pescatori e artigiani convocati fra il 3 e il 6 ottobre prossimi dal movimento Terra Madre, che si è dato appuntamento a Milano nella speranza di cambiare di segno la kermesse. Sono la dimostrazione vivente di un’iniziativa per il diritto al “cibo sano, pulito, giusto” che ha iniziato a farsi sentire dalle loro contrade periferiche, con efficacia crescente.
Così la Carta di Milano apre al mondo un città lacerata dalle contraddizioni, in cui s’intrecciano angosce e speranze. Sabato scorso il presidente Mattarella, quando è sceso alla Stazione Centrale dal nuovo Pendolino che brucia il tragitto Roma-Milano in due ore e quaranta minuti, forse avrà intravisto nel grande atrio sotto i binari il bivacco dei profughi sopravvissuti alla traversata del Mediterraneo, lì assistiti dal Comune e dai volontari nella loro fuga dalla guerra. Anche loro sono stranieri mescolati agli altri in visita a Milano. Il diritto al cibo come fondamento della dignità umana ci appare più evidente, quando cammina sulle loro gambe affaticate.

I commenti sono chiusi.

I commenti di questo blog sono sotto monitoraggio delle Autorità. Ti preghiamo di mantenere i toni della discussione entro i limiti di buona educazione e netiquette in essere come regole del blog. Inoltre usa con moderazione i seguenti comandi di formattazione testo.