La disoccupazione cresce nonostante il Jobs Act

venerdì, 1 maggio 2015

Il Jobs Act è entrato in vigore ai primi di marzo, ma il primo mese in cui si è potuto attestare il suo effetto i risultati sono stati negativi. L’aggiornamento mensile fornito dall’Istat sull’occupazione in Italia è pieno solo di segnali negativi. Cresce il tasso di disoccupazione, dal 12,7 al 13%, con circa 140 mila disoccupati in più rispetto all’anno scorso e più 52 mila su base mensile, e peggiora il dato della disoccupazione giovanile, che passa dal 42,8 al 43,1%. A fine anno era al 41,4%.  Solo in Grecia e in Spagna c’è una situazione più negativa per gli under 25 nell’eurozona, mentre l’Italia è uno dei pochi Paesi in UE a registrare un peggioramento del tasso di disoccupazione nel mese di marzo. Si contrae il tasso di occupazione, al 55,5%, uno dei peggiori dati a livello storico. Considerando invece i dati degli occupati la situazione diventa ancora più negativa. Il dato tendenziale registra una perdita di 70 mila unità di occupati in un anno . Il totale è ora di 22,195 milioni, in calo consecutivo da due mesi. Il dato mese su mese fornito da Istat è spesso soggetto a una forte oscillazione, causata dalla tipologia di questo tipo di indagine, ovvero rilevazioni campionarie. La media mobile trimestrale però conferma l’andamento negativo delle dinamiche occupazionali,visto che  risultano in calo sia il tasso di occupazione (-0,1 punti percentuali) sia il tasso di disoccupazione (-0,2 punti), a fronte di una crescita del tasso di inattività (+0,2 punti). I dati dell’Istat, di gran lunga i più completi, smentiscono come già successo nelle settimane scorse le comunicazioni fornite dall’INPS su attivazioni e cessazioni contrattuali. Il governo Renzi ha investito molto nella politica del lavoro, introducendo un nuovo contratto a tempo indeterminato, con l’abolizione del diritto alla reintegra del precedente articolo 18, e stanziando una significativa decontribuzione per i nuovi assunti. Queste misure sono il cuore del Jobs Act, la riforma più rilevante dell’esecutivo, che non sta producendo però effetti al momento visibili sul versante occupazionale. In realtà ciò non è affatto strano. L’occupazione segue l’andamento dell’economia, e l’Italia ha chiuso il 2014 in recessione per il terzo anno consecutivo. Per certi versi, nel dramma sociale e umano che rappresenta l’aumento della disoccupazione, è positivo che un’economia distrugga posti di lavoro se va male. In caso contrario, ci troveremmo infatti di fronte a un’inquietante crollo della produttività del lavoro, la via sicura per un futuro di decrescita e peggioramento dello sviluppo. Tolta questa non rassicurante considerazione, rimane un problema per certi versi più preoccupante. In questi ultimi mesi si è creata una congiuntura estremamente favorevole, pur nella sua debolezza. La svalutazione dell’euro, la maxi liquidità fornita dalla Bce che sta facendo scendere i tassi di interesse, il crollo del prezzo del petrolio che ha diminuito sensibilmente il costo dell’energia. A tutti questi stimoli la nostra economia non reagisce, sopratutto sul mercato interno. I danni prodotti dalla recessione degli ultimi tre anni sono stati immensi, e al momento non si scorge una prospettiva positiva. Anche il ritorno alla crescita annunciato da Istat e Banca d’Italia appare oltremodo fragile, visto che l’Italia è tornata fanalino di coda in Europa per aumento del Pil, come già lo era prima della crisi.

 

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