Gli ultimi giorni della Grecia per rimanere nell’euro

lunedì, 18 maggio 2015

Negli ultimi mesi le “riunioni decisivi” tra la Grecia e l’Europa sono state numerose, ma il prossimo vertice dei ministri finanziari dell’unione monetari, programmato per giugno, rischia davvero di essere l’ultimo momento di una crisi apertasi ormai sette mesi fa. Entro poche settimane Atene, come ben ha spiegato Carlo Bastasin sul “Sole 24 Ore” di domenica 17 maggio 2015, non avrà più soldi in cassa. Senza prestiti dell’Eurogruppo la Grecia dovrà dichiarare bancarotta, con la concreta possibilità di un’uscita dall’eurozona. La peggior ipotesi di soluzione di una crisi iniziata ormai diversi mesi fa, quando al governo non c’era ancora Alexis Tsipras. Prima delle elezioni presidenziali decise da Samaras che poi portarono allo scioglimento della legislatura e al rinnovo anticipato del Parlamento vinto da Syriza, l’Eurogruppo bloccò l’ultima tranche da 7,2 miliardi di euro inserita nel secondo programma di assistenza finanziaria adottato nel 2012. Dal 2010 la Grecia riceve crediti dai Paesi dell’eurozona per ripagare i suoi debiti, e finanziare le sue attività vista la quasi totale impossibilità di accesso ai mercati dei capitali. Per ottenere i prestiti il governo di Atene ha dovuto rispettare il Memorandum della Troika, che ha imposto tagli severi alla spesa pubblica e misure di liberalizzazione dei mercati del lavoro, dei prodotti e dei servizi. Questo schema è saltato con la vittoria di Alexis Tsipras, anche se il premier ellenico sembra voler riproporlo in misura più moderata. Meno tagli, meno austerità, e crediti concessi con minor rigore. A fine febbraio la Grecia e l’Eurogruppo si erano accordati per uno nuovo piano di riforme, da realizzare in maniera più rispettosa della sovranità ellenica. La “Troika” è stata cancellata, almeno come definizione, e i funzionari di Commissione, Bce e Fmi non hanno più accesso ai ministeri di Atene. Le trattative si svolgono a Bruxelles, ma finora sono state insoddisfacenti. Tra giugno e agosto la Grecia dovrà rimborsare 11 miliardi. La data decisiva appare venerdì 5 giugno, quando Atene dovrà restituire 1,5 miliardi al Fondo monetario internazionale. Il piano elaborato dal governo Tsipras non piace ai creditori, perchè non contiene impegni credibili, e presenta misure di solo aumento dell’imposizione fiscale. Questo fine settimana è circolato un documento riservato del Fmi che lamentava il deterioramento della situazione. Come rimarcato da Carlo Bastasin, in paesi UE sembrano tentati da un accordo “sporco” con Tsipras, tale da fargli accettare impegni molto meno severi rispetti a quelli imposti prima a Papandreou, poi al governo tecnico di Papademos e infine a Samaras. L’alternativa sarebbe la bancarotta della Grecia, con una dichiarazione di default che avrebbe l’effetto immediato di sospendere i finanziamenti straordinari concessi dalla Bce alle banche elleniche. La Grecia sarebbe costretta a introdurre restrizioni ai movimenti dei capitali, bloccando i conti correnti dei suoi cittadini, e potrebbe emettere mezzi di pagamento diversi dall’euro. La questione ormai è diventata più politica che economica. Il Fondo monetario internazionale, creditore super senior, si sgancerebbe dal programma di assistenza in caso di rinnovo in seguito all’accordo “sporco”. I Paesi UE dovranno decidere se mantenere la Grecia nell’euro, sapendo che non potrà mai rimborsare i suoi debiti attuali, oppure rompere l’unione monetaria. Un’ipotesi che spaventa Angela Merkel, visto che metterebbe a rischio la sua intera strategia di salvataggio dell’euro, con conseguenze al momento imprevedibili. Diversi Paesi avrebbero poi problemi interni rilevanti in caso di eccessiva generosità verso la Grecia. Uno di questi è il Portogallo, che in questi anni ha applicato le ricette della Troika, e che tra pochi mesi andrà il voto. La Finlandia, scivolata in recessione, dovrebbe essere guidata da un esecutivo di centro-destra sostenuto da una forza euroscettica, indisponibile a fare “sconti” ad Atene. La parola finale sarà scritta alla prossima riunione dell’Eurogruppo, che dovrà decidere se accettare l’accordo al ribasso proposto da Alexis Tsipras, oppure avviare un percorso che potrebbe provocare la rottura dell’unione monetaria.

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