Contro Adriano Sofri un anatema e tanta vigliaccheria

martedì, 23 giugno 2015

Lo avevano designato non a un incarico di potere, bensì a far parte di un gruppo di esperti sollecitati a elaborare proposte per l’umanizzazione delle carceri italiane. Adriano Sofri le conosce bene, le prigioni, per avere trascorso dietro le sbarre oltre un decennio della sua vita, scontando per intero una condanna penale a complessivi 22 anni di reclusione.
Nessun incarico di potere, nessuna paga, nessun privilegio. Solo il riconoscimento, da parte del Ministero della Giustizia, di una competenza maturata da Sofri dentro la più abominevole delle nostre istituzioni, denunciata a livello internazionale come indegna di un paese che si vuole democratico. Sofri è certamente colpevole di amore e complicità per i suoi fratelli detenuti. Posso testimoniarlo, avendo avuto la fortuna di incontrarlo più volte nella sala colloqui del carcere Don Bosco di Pisa.
Solo che Adriano Sofri è oggetto di un anatema. E’ bastata la parola “nomina” a lui riferita per scatenare nuovamente la pulsione di scomunica, anche da parte di chi di tanto in tanto usa farsi bello predicando la riconciliazione.
Lo si può esercitare, questo anatema contro Adriano Sofri, senza timore alcuno perchè rientra fra i conformismi maggioritari, vigliaccherie commesse per riflesso condizionato in nome di un’ostilità alla memoria.

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