Il passaggio politico è cruciale non solo per la Grecia e il futuro dell’Europa ma anche, più in piccolo, per la sinistra italiana. Il perseguimento coerente di una politica anti-austerità conduce Tsipras e i suoi compagni di Syriza a una rottura drammatica con la Troika (ha ragione Paul Krugman: dobbiamo ricominciare a chiamarla così, senza ipocrisie). L’asse che governa l’Ue con le larghe intese fra Popolari e Pse vuole liberarsi dell’anomalia rappresentata dall’europeismo solidale al governo di Atene, per il timore che alla fine dell’anno anche in Spagna venga eletto un governo intenzionato a rinegoziare il debito (Podemos magari in coalizione con un Psoe ridimensionato).
E la sinistra del Partito Democratico italiano? Può forse rimanere ancora silenziosa lì in mezzo, come se il macigno dell’inestinguibile debito pubblico italiano non incombesse già sul futuro destino della nazione? Star zitti e tifare per la sconfitta di Tsipras nel referendum di domenica prossima, come fa Renzi?
Capisco il fastidio della cattiva compagnia: trovarsi Brunetta Salvini Grillo fra i laudatori a distanza della sinistra sociale greca, non è il massimo. Anche se trattasi di sostegno strumentale e passeggero. Consoliamoci ricordando che dalla parte di Tsipras si schiera il meglio degli economisti di sinistra. Mica si può inneggiare al libro di Thomas Picketty e poi ignorarlo quando denuncia l’irresponsabilità dell’Europa a trazione tedesca.
Ha ragione Stefano Fassina quando sostiene che questo è il nuovo discrimine su cui misurarsi, non solo rispetto alla guida del Pd ma rispetto alla linea prevalente nel Partito socialista europeo.