Fmi: «Italia tornerà a tasso di disoccupazione pre-crisi tra 20 anni». Per ora Jobs Act non dà risultati significativi

martedì, 28 luglio 2015

Il Fondo monetario internazionale, nel suo rapporto sull’eurozona prodotto dall’annuale missione di monitoraggio sulle economie degli Stati membri, ha indicato diverse previsioni negative per il nostro Paese. La prima, ripresa da numerosi media, è la possibilità che il tasso di disoccupazione scenda ai livelli pre-crisi tra 20 anni. Il tasso di disoccupazione, spiega l’Fmi, « atteso rimanere più alto che durante la crisi in Italia, e ai livello del periodo di crisi in Francia nel medio termine.L’organismo guidato da Christine Lagarde stima invece una flessione del tasso di disoccupazione in Spagna che rimarrà comunque sopra il 15%. Secondo le previsioni dell’Fmi, senza una significativa ripresa della crescita, la Spagna impiegherà quasi 10 anni, mentre Italia e Portogallo quasi 20 anni, per ridurre il tasso di disoccupazione ai livelli pre-crisi. Previsioni di così lungo termine hanno poco valore, ma evidenziano quanto la crescita sia ancora debole nell’eurozona. Il Fmi prende una posizione piuttosto critica verso la governance dell’unione monetaria, chiedendo di proseguire le riforme strutturali – come indicato da UE, Germania in primis – ma indicano l’esigenza di una maggiore flessibilità nell’utilizzo del Quantitative easing. Secondo il Fmi l’eurozona avrà bisogno di politiche monetarie espansive anche sul lungo termine, indicando come la crescita dei Non performing Loans (Npl, i crediti non performanti) nei bilanci delle banche dei Paesi più in difficoltà freni ulteriormente la già timida ripresa. Inoltre, l’istituzione guidata da Christine Lagarde evidenzia come gli Stati europei come la Germania  che avrebbero spazi fiscali per stimolare la congiuntura – e ridurre gli squilibri all’interno dell’eurozona – non adottino le politiche necessarie per aumentare la crescita. La flessibilità consentita dal Patto di stabilità e crescita viene invece utilizzata da chi, come l’Italia o gli altri Paesi in eurocrisi, avrebbe invece la necessità di consolidare ulteriormente i propri bilanci alla luce dell’aumento di disavanzo e indebitamento. Il Fmi riprende in sostanza la linea espressa da Mario Draghi a Jackson Hole l’estate scorsa, una posizione sostanzialmente disattesa nei mesi successivi, al netto dell’adozione del QE. Il ministero dell’Economia ha contraddetto le stime così pessimistiche sull’Italia, diffondendo questo breve comunicato. ”

La stima del FMI (secondo la quale occorrerebbero 20 anni in Italia per riportare l’occupazione ai livelli pre-crisi) è basata su una metodologia che non tiene conto delle riforme strutturali che già sono state introdotte (per esempio la riforma del mercato del lavoro e la riduzione della tassazione sul lavoro) né di quelle che sono in corso di implementazione (per esempio l’efficientamento della pubblica amministrazione). La metodologia utilizza infatti previsioni di crescita del PIL che, prudenzialmente, non tengono conto dell’effetto delle riforme. Inoltre anche l’effetto della crescita del PIL sulla occupazione (il cosiddetto “coefficiente di Okun”) è basato sulla esperienza passata, quella pre-riforme, e quindi non tiene in considerazione l’effetto che le riforme avranno sulla occupazione a parità di crescita. I dati sull’andamento del mercato del lavoro degli ultimi mesi sembrano confermare l’impatto dell’azione congiunta delle riforme e della leva fiscale, con risultati migliori del aspettative”

Una posizione in parte condivisibile, ma certo poco corroborata dalle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro sui primi sei mesi del 2015. Il saldo tra attivazioni e cessazioni rispetto a gennaio-giugno del 2014 è positivo di 200 mila contratti, ma la tendenza alla crescita dei contratti a tempo indeterminato è in calo come già visto a maggio, mentre come indicato dall’Istat l’impatto su nuova occupazione è oltremodo limitato. Nel mese di giugnosono 61.098 i contratti di lavoro in più, calcolati come saldo tra quelli attivati e quelli cessati. Ma per i rapporti a tempo indeterminato il saldo è negativo, pari a -9.768. Nello stesso mese del 2014 il saldo era stato più negativo, di circa 30 mila unita, ma mancavano tanto gli incentivi alle assunzioni, quanto il nuovo articolo 18 e sopratutto un’economia in crescita, per quanto timida e ancora insufficiente per creare nuova occupazione in modo rilevante. Anche l’impatto del Jobs Act sulla tipologia dei contratti appare limitato. Nei primi sei mesi dell’anno la percentuale degli indeterminati  è cresciuta di circa 5 punti percentuali rispetto al 2014. Un dato positivo, però il 64% dei nuovi contratti attivati in Italia è a tempo determinato, un esito che appare anche coerente con il decreto Poletti.

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