Sionismo e fanatismo messianico: ora Israele deve guardarsi allo specchio

domenica, 9 agosto 2015

L’arresto da parte dei servizi segreti israeliani di nove coloni ebrei nei dintorni di Nablus, dove il piccolo Ali Dawabsheh morì bruciato nei giorni scorsi nel rogo della sua casa, e dove anche suo padre Saad è morto in seguito alle ustioni, pone il governo di Gerusalemme di fronte a un dilemma morale, oltre che politico. E’ almeno dal 1994 (strage di Hebron perpetrata da Baruch Goldstein) che una esigua ma sempre in crescita componente religiosa santifica la guerra ai palestinesi in quanto applicazione della volontà divina. L’anno successivo, nel 1995 (siamo prossimi al ventennale), fu assassinato addirittura il primo ministro Yitzhak Rabin “in nome del Signore”, per bloccare il processo di pace avviato con l’Anp. Sui muri della casa palestinese bruciata a Kfar Duma hanno tracciato scritte inneggianti al regno del Messia che gli israeliani ben conoscono perchè tutto il paese ne è pieno. Siedono anche nel governo Netanyahu esponenti di questa corrente che mira a trasformare il sionismo in fondamentalismo religioso, in quanto la nascita dello Stato d’Israele sarebbe il primo segno del ritorno del Messia, il primo passo verso la fine dei tempi e il Giudizio Universale. Quando un ministro del governo in carica pretende di andare a pregare sulla spianata delle moschee perchè fu la sede del Tempio. Quando i coloni che occupano illegalmente terre palestinesi vengono esaltati come gli eredi legittimi dei pionieri dei kibbutz del secolo scorso. Allora è l’intera destra israeliana, ormai saldamente egemone nel paese, che deve guardarsi allo specchio.

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