Perchè Netanyahu sceglie per Israele una diplomazia alla Nirenstein

mercoledì, 12 agosto 2015

Auguri sinceri a Fiamma Nirenstein, designata ambasciatrice dello Stato d’Israele in Italia. Oggi ci separa un’abissale distanza di visione dell’ebraismo, e non solo. Ma ci siamo conosciuti bene, e ci siamo voluti bene. Non posso che augurarmi una riuscita, o quanto meno una riduzione del danno, in questo suo ennesimo sforzo di superamento del limite. Chi concentra l’attenzione su di lei e sulla sua esuberante biografia, rischia però di non cogliere il centro del problema.
La vera questione è un’altra: perchè il capo del governo israeliano, ministro degli Esteri ad interim, pianifica una strategia diplomatica fiammeggiante, “di battaglia” e, quindi, “alla Nirenstein”? Non si tratta di una scelta improvvisata. In uno scacchiere internazionale che vede affievolirsi il potere autonomo dei singoli governi statali, e l’interferenza reciproca diviene esplicita come fino a ieri sarebbe stato impensabile, l’Israele di Netanyahu tenta una mossa disperata. Negli Stati Uniti fa appello al Congresso contro la Casa Bianca, sull’accordo con l’Iran. In Europa aspira a costituire avamposti minoritari di tutela dei propri interessi, non importa se in aperta contrapposizione con le deliberazioni dell’Unione Europea. Una strategia autodifensiva da guastatori, tipica di chi si sente accerchiato e punta solo a prendere tempo boicottando l’altrui ricerca di soluzioni considerate dannose per sè.
Anche la disintegrazione, ovvero una più marcata separazione fra identità ebraica e cittadinanza europea, fanno parte di questa visione che, nel gennaio scorso, portò Netanyahu a sollecitare una migrazione di massa degli ebrei francesi in Israele.
Diplomazia “alla Nirenstein”, si parva licet.

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