Le luci, e qualche ombra, dei buoni dati Istat su Pil e lavoro

mercoledì, 2 settembre 2015

L’Istat ha diffuso ieri la nuova stima sull’andamento del Pil italiano nel secondo trimestre del 2015, e il dato mensile di luglio del mercato del lavoro del nostro Paese. I dati sono complessivamente positivi, tanto da aver scatenato una forte offensiva mediatica del governo e del PD, dopo la brutta figura sulla maggiorazione delle attivazioni comunicate dal ministero del Lavoro. La notizia più positiva per l’Italia arriva dal Pil, leggermente cresciuto di più rispetto alla prima stima, dallo 0,2 allo 0,3% tra aprile e giugno 2015. Il dato acquisito per l’anno in corso è un aumento del Prodotto interno lordo dello 0,6%, così che la stima fornita dal governo sul Def verrà quasi sicuramente rispettata, con possibile miglioramento. La fine della recessione è ormai certificata, anche se il ritmo dell’economia italiana rimane più lento rispetto alla media europea. E’ vero che a livello congiunturale (ovvero rispetto all’ultimo trimestre) l’Italia viaggia come la Germania, ma rispetto al 2014 la crescita sarà di circa la metà. Simile valutazione si può esprimere anche nei confronti dell’eurozona. Nel secondo trimestre la spinta maggiore alla crescita arriva dai consumi interni, mentre qualche inquietudine è generata dalla contrazione congiunturale di investimenti ed esportazioni. Costante è il forte incremento delle scorte delle imprese. La correzione verso l’alto del Pil, sia per il primo che per il secondo trimestre, ha contribuito al miglior dato mensile sull’occupazione registrato negli ultimi mesi. La  correzione dell’Istat sui dati precedenti ha cambiato il quadro in merito all’occupazione, cresciuta di circa 180 mila unità. La maggior parte di questi è stata rilevata da Istat tra gli over 55, e lo stesso istituto di statistica rimarca come l’incremento sia provocato anche dagli effetti della riforma Fornero che ha allungato gli anni di lavoro. ” Nel secondo trimestre 2015 – ininterrotta da cinque trimestri – prosegue la crescita del numero di occupati su base annua, stimata a +180 mila unità (0,8% in un anno). L’aumento dell’occupazione riguarda sia gli uomini (+0,7%, 89 mila) sia le donne (+1,0%, 91 mila) e tutte le ripartizioni territoriali, soprattutto il Mezzogiorno (+2,1%, 120 mila unità) dove oltre la metà della crescita interessa le donne (+3,0%, 65 mila). Al calo degli occupati 15-34enni e 35-49enni (-2,2% e -1,1%, rispettivamente), continua a contrapporsi la crescita degli occupati ultra 50enni (+5,8%), anche a motivo delle mancate uscite dal lavoro generate dall’inasprimento dei requisiti per accedere alla pensione”. L’occupazione scende tra giovani e classi medie di età, ma sale tra gli over 50. Un dato che si riflette nel forte calo degli inattivi in questa fascia d’età. Se si osservano i numeri forniti dal database forniti dall’Istat, e non quelli comunicati alla stampa, si nota come a luglio il tasso di disoccupazione non sia sceso ma aumentato al 12,4% nel secondo trimestre del 2015, come accaduto anche con la disoccupazione giovanile. I disoccupati rimangono oltre 3,1 milioni, mentre il numero degli occupati è ancora inferiore di oltre 200 mila unità rispetto al 2012, come mostra questo grafico twittato dal professor Monacelli.

 

Se si prende in considerazione lo scoppio della crisi, nel 2008, in Italia mancano ancora un milioni di posti di lavoro. Ci sono dunque segnali incoraggianti, ma è consigliabile più cautela che ottimismo. Rimane inoltre una considerazione sulla volatilità dei dati Istat, accentuata sugli aggiornamenti mensili, ma non completamente corretta neppure dalle medie mobili trimestrali, che forniscono un quadro più preciso. Sintetizzando i valori di Pil e occupazione si può concordare sulle affermazioni fatte qualche settimana fa dal presidente dell’Istat: dopo circa 3 anni l’Italia è ormai fuori dalla recessione, come accaduto negli altri Paesi dell’eurozo, ma la ripresa è ancora piuttosto debole e ancora insufficiente per generare un forte incremento occupazionale capace di alleviare gli enormi danni provocati dalla crisi.

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