Era un uomo pacato e autorevole, Pietro Ingrao. Il contrario di un demagogo. Rifuggiva l’estremismo verbale e cercava, al contrario, di entrare in sintonia con la gente più semplice capace di farsi comunità solidale, trasformandosi cioè da plebe rivoltosa in progetto culturale. Poteva dunque sembrare anacronistico il comunismo (mai dogmatico, mai settario) di Pietro Ingrao. E invece si ripropone di continuo, dai versanti più inaspettati, la sua attualità.
Lo ritrovi nella critica dei movimenti giovanili al potere dell’1% così come nei ragionamenti di papa Francesco sulla “tecnocrazia economica”: è l’orizzonte utopico di una società capace di ribellarsi ai suoi padroni e di affermare la sua dignità in nuove forme comunitarie. Il comunismo di Ingrao sarà anche un’utopia, ma si ripropone sempre attuale, generoso, dentro alle convulsioni del nostro tempo contemporaneo.
Ingrao era lontano dal dibattito pubblico da una decina d’anni. Fa impressione constatare quanto invece la gravità della sua voce si avverta ancora. La morte di una quercia centenaria che suscita in noi i sentimenti della gratitudine e del rimpianto.