Il voucher è uno strumento sempre più diffuso sul nostro mercato del lavoro. La riforma del Jobs Act, che ha innalzato a 7 mila euro netti (lordo è poco più di 9 mila euro) il limite massimo consentito che un lavoratore può guadagnare coi voucher, ha aumentato in modo rilevante il suo utilizzo. Il buono lavoro è un certificato fornito dall’INPS, per via cartacea o telematica, che permette di pagare il lavoro accessorio, non subordinato. I voucher dovrebbero regolarizzare i lavori occasionali in settori quali il turismo o l’agricoltura, facendo emergere il “nero”, ma sono maggiormente utilizzati nel commercio e nei servizi, un dato che segnala una torsione di questo strumento. Il presidente dell’INPS Tito Boeri ha più volte rimarcato come i voucher stiano diventano una nuova frontiera del precariato. Come scrive la ricercatrice Marta Fana sul “Manifesto” di martedì 13 ottobre 2015 “tra gennaio ed agosto 2015, ne sono stati venduti oltre settantuno milioni. Nel solo mese di agosto venduti 9 milioni 182.760 mila un dato incontrovertibile che spiega a chiare cifre che il precariato in Italia avanza”. Come spiegato pochi giorni su “La Repubblica”, secondo quanto ha comunicato l’Inps, sono 212,1 milioni i buoni lavoro per la retribuzione delle prestazioni di lavoro accessorio venduti da quando sono stati introdotti, nell’agosto del 2008, al 30 giugno 2015. “La vendita dei voucher è progressivamente aumentata nel tempo, registrando un tasso medio di crescita del 70% dal 2012 al 2014 e del 75% nel primo semestre del 2015 rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente. In costante aumento è anche il numero dei lavoratori retribuiti con i buoni lavoro, che nel 2014 ha superato il milione (1.016.703)”. Il forte utilizzo dei voucher spiegherebbe parte della crescita occupazionale nel nostro Paese registrata in questi mesi. I dati dell’INPS forniti ieri indicano che sono stati attivati poco più di 600 mila nuovi contratti di lavoro nel 2015.
#JobsAct, nove milioni di #voucher in un solo mese e i TI si fermano al 15% http://t.co/nJS6wx0x6b via @ilmanifesto pic.twitter.com/UbcpdVZchR
— Marta Fana (@martafana) 13 Ottobre 2015
Come rimarca ancora Marta Fana, ” i nuovi contratti a tempo indeterminato al netto delle cessazioni sono 91.633. Guardando alla composizione totale dei contratti, si nota che i nuovi contratti a tempo indeterminato sono solo il 15%, quelli a termine rappresentano il 77%, mentre la restante parte, il 7% si riferisce all’apprendistato”. Anche questo grafico, realizzato da Francesco Seghezzi, evidenzia come al momento la forma prevalente di nuovo contratto attivato in Italia sia di gran lunga quello a tempo determinato. L’effetto degli sgravi contributivi e del Jobs Act si vedono, ma sono piuttosto contenuti vista la contenuta crescita percentuale.
Dati @MinLavoro attivazione nuovi contratti. Giudicate voi se gioco (decontribuzione) vale la candela (“stabilità”) pic.twitter.com/mlWuVaqA8q
— Francesco Seghezzi (@francescoseghez) 13 Ottobre 2015