Roberto Perotti e le dimissioni minacciate per la mancata spending review

mercoledì, 14 ottobre 2015

Roberto Perotti ha minacciato le dimissioni da commissario alla spending review. Lo racconta Lorenzo Salvia sul “Corriere della Sera” di mercoledì 14 ottobre 2015, evidenziando come il docente della Bocconi sia particolarmente deluso per i risultati ottenuti sul fronte della riduzione della spesa pubblica. “Qualche giorno fa uno dei due commissari alla revisione della spesa pubblica, Roberto Perotti, ha messo sul tavolo le proprie dimissioni. Il presidente del Consiglio gli ha chiesto di rimanere, con la promessa di una stretta agli ingranaggi che non hanno funzionato come sperava il professore della Bocconi: certezza dei tempi, chiarezza degli interlocutori all’interno dell’amministrazione, un input politico vero, capace di vincere le inevitabili resistenze. Per il momento Perotti è rimasto al suo posto, poi si vedrà. Per bilanciare il minor peso della spending review, oltre al gettito del rientro dei capitali, il governo spingerà un po’ più in alto la leva del deficit”. Roberto Perotti è stato nominato commissario alla spending review insieme a Yoram Gutgeld, deputato PD, ex manager di McKinsey, da diversi anni considerato come l’economista di Matteo Renzi. Il governo aveva indicato l’obiettivo di una riduzione della spesa pubblica da 10 miliardi di euro, già inferiore rispetto al target 2016 fissato dal precedente commissario Carlo Cottarelli, pari a 12. A quanto emerge dai giornali, la legge di Stabilità licenziata dal Consiglio dei ministri indicherà però tagli per soli 5 miliardi. Grazie ai 3 miliardi ottenuti con il rientro dei capitali dalla Svizzera, un’entrata una tantum che mancherà in futuro, a un paio di miliardi di gettito arrivati grazie a una crescita leggermente più alta del previsto, e al significativo risparmio sugli interessi per servire il debito conseguito dal successo delle politiche monetaria della Bce ,il governo Renzi ha deciso di tagliare la spending review. Al momento la riduzione della spesa dovrebbe assestarsi sui 5 miliardi, ottenuti da 2 miliardi in meno erogati per il Fondo dalla Sanità, da 1 miliardo e mezzo di tagli lineari ai ministeri, e un altro miliardo e mezzo, piuttosto aleatorio in realtà, che verrebbe dalla riduzione delle centrali di acquisto della PA. Roberto Perotti era stato chiamato per ripensare la spending review elaborata da Carlo Cottarelli, ma il suo lavoro è stato sostanzialmente accantonato. Come successo molte volte in passato, la riduzione della spesa pubblica piace molto a parole, ma un po’ meno nei fatti, visto che come ha ricordato la Corte dei Conti per ottenere risparmi significativi bisogna ridiscutere il ruolo dello Stato in settori fondamentali come pensioni, sanità, istruzione, e così via. Matteo Renzi ha promesso tempo di ridurre le tasse senza tagliare i servizi, e fare così la spending review è piuttosto arduo. Yoram Gutgeld aveva perfino riciclato la reaganiana curva di Laffer per spiegare come si possano tagliare le imposte senza ridurre la spesa.  Le minacciate dimissioni di Roberto Perotti confermano una lunga tradizione dei nostri governi, che chiamano tecnici prestigiosi per chiedere loro programmi ambiziosi di revisione della spesa, poi accantonati per la loro impopolarità. Solo negli ultimi anni è successo con Giavazzi, Giarda e Cottarelli, e probabilmente a breve toccherà anche al docente della Bocconi.

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