Tecnocrazia, diritto alla proprietà privata e decrescita: un’enciclica contro il potere

mercoledì, 21 ottobre 2015

Il Fai, Fondo Ambiente Italiano, mi ha chiesto un commento sull’enciclica “Laudato si'” di papa Francesco. Lo ripropongo qui di seguito ai frequentatori del blog.

Vorrei cominciare, per una volta, dal margine, o meglio dalle note poste a margine dell’enciclica Laudato si’. Esse testimoniano il retroterra culturale che anima il pontificato di Francesco, il vescovo di Roma –sono state le sue prime parole- “venuto dalla fine del mondo”.

 

C’era molta ironia in quel richiamo di Jorge Mario Bergoglio a una supposta periferia del pianeta. Egli sapeva benissimo che l’America Latina, insieme con l’Africa e l’Asia, stanno ribaltando il baricentro non solo della Chiesa, ma anche dei precari equilibri su cui si è retto negli ultimi secoli il sistema delle relazioni internazionali. Ridimensionando l’egemonia europea e nordamericana in cui ci eravamo accomodati.
Ebbene, basta scorrere le note a margine della Laudato si’ per cogliervi la netta prevalenza di richiami a singoli pensatori e a conferenze episcopali rappresentativi di aree geografiche distanti da quello che fino a ieri si considerava l’epicentro del pianeta. Quasi che il “paradigma tecnocratico dominante” –concetto su cui il papa insiste ripetutamente- avesse disseccato perfino la capacità di sviluppare un pensiero originale qui nel nostro campo occidentale.
La portata dirompente dell’enciclica è tale da avere indotto i più autorevoli teorici del nostro modello di sviluppo a relegarla nella categoria, dal loro punto di vista irrilevante, delle utopie. Non mi spiego altrimenti il fatto che –a parte qualche eccezione negli Stati Uniti- nessuno fra i pur loquaci cantori del neoliberismo si sia preso la briga di contestarla puntualmente.
Eppure ha ragione Marco Vitale quando ricorda che il filo di ragionamento di Francesco non è isolato, né appartiene solo a una dimensione religiosa. Sviluppa al contrario una critica meticolosa delle regole vigenti (o assenti) nel sistema capitalistico pervenuto a realizzare –cito- “la sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza”. Le conseguenze di tale sottomissione si ripercuotono sulla “nostra oppressa e devastata terra” sia come disastri ambientali, sia come disastri antropologici.
L’inscindibilità dell’approccio ecologico dall’impegno sociale, diviene così il cuore della Laudato si’. Come ha notato giustamente Carlo Petrini nell’introduzione all’enciclica pubblicata dalle Edizioni Paoline, “sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore”.
Tutto ciò è molto scomodo da riconoscere, soprattutto per chi come noi gode del benessere occidentale generato dal sistema capitalistico, per quanto si manifestino anche qui i suoi imprevisti dissesti economici e culturali.
Quando Francesco afferma che “è arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti”, sarà anche vero che non sposa in pieno la teoria radicale di Serge Latouche, ma certo preconizza la necessità di una decrescita delle economie occidentali, peraltro già in atto. Le implicazioni di questo assunto, che è anche una profezia, sono indubbiamente problematiche, come rileva Michele Salvati: la politica condannata a riscuotere consensi nei tempi brevi appare disarmata nell’esercizio di un’autorità che dovrebbe esercitarsi anche sotto forma di coercizione per domare la logica del profitto a ogni costo e per addomesticare l’impulso consumistico degli individui. Ma illudersi che possano bastare le virtù spontanee di autoregolamentazione del mercato, si è già rivelata utopia negativa.
Allo stesso modo, è vero che Francesco non ha scritto un’enciclica contro la scienza e la tecnica, né contro gli imprenditori, né contro il mercato. Ma quando afferma che “la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto e intoccabile il diritto alla proprietà privata”, egli sa bene di non richiamare solo un principio religioso. Al contrario, sceglie di intervenire direttamente sulla più spinosa delle questioni: la necessità di porre un limite alle libertà economiche, compreso il diritto di proprietà.
L’insistenza con cui Francesco denuncia lungo tutta la Laudato si’ –e in molti altri suoi interventi- “il paradigma tecnocratico dominante”, scaturisce proprio da questa visione degli equilibri vigenti negli assetti di potere mondiali. Chiede alla politica di contribuire a scardinarli: “La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia”. Parole inequivocabili, e a loro modo sovversive.
Certo, nella radice del suo messaggio si riconosce un’ansia per le condizioni in cui versano il pianeta, le sue risorse naturali, tutte le specie che lo abitano, i suoi beni culturali, i suoi tesori architettonici, che scaturisce dall’amore francescano per il Creato. Sarebbe sciocco ridurlo a un’intenzione politica, quando ammonisce: “Abbiamo troppi mezzi per scarsi e rachitici fini”. Ma se la Laudato si’, non a caso, è la prima enciclica papale che sceglie di rivolgersi non solo ai fedeli della Chiesa di Roma bensì a tutta la famiglia umana, è perché intravede la necessità e la possibilità di dare vita a un’azione trasformatrice ispirata, certo, dall’alto, per poi camminare sulle gambe degli uomini di buona volontà.

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