Colpire l’ISIS non significa resuscitare Oriana Fallaci

mercoledì, 18 novembre 2015

Guido Viale ha scritto un interessante editoriale sul “Manifesto” di mercoledì 18 novembre. Viale critica la risposta bellicista agli attentati di Parigi, rimarcando i molti problemi creati dagli interventi militari occidentali nell’area, così come le contraddizioni generate dalla chiusura nei confronti dei migranti. Ci sono molti spunti condivisibili, ma una frase del suo editoriale mi ha particolarmente colpito. ” Coloro che invocano un’altra guerra dell’Europa in Siria, in Libano e fin nel profondo dell’Africa, resuscitano le invettive di Oriana Fallaci che speravamo sepolte, contro l’ignavia europea, non si rendono conto dei danni inflitti a quei Paesi e quelle moltitudini costrette a cercare una via di fuga da noi”.Il punto di dissenso, e credo di incomprensione, che ho con Viale è sul significato della parola guerra all’ISIS. Nessun leader pensa a invasioni dei Paesi in cui si è radicata l’organizzazione jihadista, Barack Obama, che è il capo di Stato più impegnato militarmente contro l’ISIS, ha ribadito con parole sagge il suo scetticismo sull’invio dei militari USA sul suolo siriano. L’organizzazione di al-Baghdadi deve però essere combattuta, e se possibile il più possibile limitata e danneggiata, cercando di minimizzare la contrapposizione all’Islam. In questo senso credo ci sia una profonda differenza con quelle che Viale chiama “invettive di Oriana Fallaci” che sono giustamente state seppellite. La risposta “bushiana e blairiana”, che culturalmente aveva più di un tratto comune con quello che chiedeva l’autrice di “La rabbia e l’orgoglio” si è mostrata incapace di contrastare con efficacia il terrorismo islamico. Pensare di impedire attentati progettati da cittadini nati in Europa invadendo Paesi arabi appare tanto inefficace quanto alla fine dannoso. La stessa evoluzione di ISIS, organizzazione che deriva da al-Qaida in Iraq, uno dei gruppi più sanguinosi della resistenza irachena contro l’occupazione americana, tende a dimostrarlo. La creazione di un’entità statuale terrorista in mezzo al Medio Oriente ha però un tale potenziale di destabilizzazione che il suo contrasto va favorito. Colpire l’ISIS vuole dire per esempio appoggiare militarmente la resistenza dei curdi, non solo invadere la Siria o l’Iraq. Se si ritiene che ISIS sia una minaccia per la stabilità mediorientale, un intervento militare,  appare indispensabile, e anche motivato. Certo non sarà risolutivo, vista la complessità degli interessi strategici in gioco. La Fallaci però c’entra poco, così come la propaganda da “bombardiamoli tutti” che forse può conquistare un po’ di voti ma che per ora, per fortuna, non sarà adottata da nessuno.

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