Niente urla, solo racconto: la tv di Gad Lerner non è un’arena

mercoledì, 25 novembre 2015

Ecco la mia intervista ad Antonio Dipollina pubblicata su “La Repubblica” di mercoledì 25 novembre 2015.

 

Il film e poi, invece del dibattito, il reportage. Parte stasera su LaEffe (canale 50 del dt, 139 del bouquet Sky) la nuova stagione, terza, di Fischia il vento. Ovvero Gad Lerner in giro per i posti a cercare il bandolo della matassa. Vedi già stasera, quando alle 21 si inizia con Il tempo dei gitani (Kusturica, 1988, miglior regia a Cannes) e poi si va a scoprire perché La Storia si ripete. Si parla di viaggi disperati e la storia che si ripete è quella del balbettio delle nazioni di fronte all’esodo di esseri umani. Era il 1938, erano gli ebrei che scappavano in massa dalla Germania nazista, a Evian in Francia i grandi del mondo non trovarono un accordo. Impressionante la somiglianza con le esitazioni dei nostri giorni di fronte ai rifugiati: in meno c’erano i social, la battaglia politica in tv, o Salvini.

Le serate in programma sono sei, a cadenza settimanale, Lerner le ha realizzate con il supporto di Laura Gnocchi, la produzione è a metà tra LaEffe e Repubblica, la serie sarà interamente visibile su tutte le piattaforme. I titoli sono quasi-hashtag per rendere subito l’idea: dopo La Storia si ripete si va a Basterebbe un traghetto, Non è un mondo per bianchi, Generazione di fanatici, I nuovi razzisti e infine Il business dei dannati.

Lerner, quanto è diventato più difficile ora, da una decina di giorni, occuparsi di questi temi?
“Credo che sia un problema soprattutto italiano. Da noi è in vigore una deroga: di lessico, di sentimenti, di linguaggio dei politici e dei media. In Francia perfino il Fronte Nazionale dice ai nostri di destra di smetterla di equiparare rifugiati e terroristi”.

Alla base c’è?
“Questa fobia ossessiva contro il politicamente corretto: in nome dello scardinamento di qualsiasi cosa abbia una parvenza di umanità si va a quella concezione gastrica del sociale, quella che esalta la pancia del paese. Non so se è chiaro, ma l’egemonia dei talk-show è passata alla destra…”.

Parliamone.
“Il talk trainante è diventato quello di Del Debbio. Peraltro lui è un intellettuale, e pure parecchio raffinato. Ma per progetto, caccia allo share e mossa politica, alè, forza con le urla in piazza e le contrapposizioni”.

Però “egemonia di destra dei talk…”.
“Del Debbio, Giletti con L’arena, Paragone con La gabbia, Nicola Porro con Virus, guidano loro. E mettono in soggezione gli altri”.

Come se ne esce?
“Chissà. Io provo a fare questa piccola parte innestando più elementi di racconto possibile. E soprattutto rimanendo lontano dal cercare facili emozioni”.

Cosa l’ha sorpresa di più in questa edizione?
“Nella prima puntata di stasera c’è una parte incredibile sulla Germania. Concetto Vecchio è andato dagli ultras del Bayern Monaco che all’epoca delle parole di Angela Merkel esposero striscioni di benvenuto ai rifugiati. Mi sono semplicemente chiesto: ma perché da noi non passa un discorso del genere e finisce che ci tocca ammirare la Germania?”.

Nessun segnale contrario?
“Solo se ignori del tutto la propensione dei media a giocare al gioco della pancia. Si che nei Balcani ci sono un sacco di ragazzi italiani volontari. Ma nessuno ne parla, abbiamo la deroga a far parlare la pancia e a promuovere solo l’intolleranza…”.

Su Laeffe e Repubblica.it il reportage di Gad Lerner si accompagna a un film d’autore (in streaming gratuito su mymovieslive.it – Nuovo Cinema Repubblica: prenota qui un posto) introdotto dallo stesso giornalista e selezionato tra le eccellenze del cinema europeo. Dopo Il tempo dei gitani sarà la volta di La promessa dei fratelli Dardenne (1996), la lotta per la sopravvivenza tra ceti popolari europei e immigrati clandestini; in prima visione assoluta, il pluripremiato Diamante nero di Céline Sciamma (2014), una adolescente nera di seconda generazione che trova una strada positiva in un mondo di bianchi e gang etniche; il contestato Paradise

Now (2005) di Hany Abu-Assad, due fratelli arabi che scelgono strade opposte tra fanatismo e sogni di una vita migliore; le commedie Jalla! Jalla! (2001) di Josef Fares e Cous cous (2007) di Abdel Kechiche, sulla vita dei migranti nel processo di integrazione.

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