5 mila euro lordi l’anno non sono schiavitù, ma lo sfruttamento dei giornalisti precari è un problema

mercoledì, 30 dicembre 2015

La conferenza di fine anno del presidente del Consiglio Matteo Renzi è stata contraddistinta dalla consueta infornata di slide ottimistiche e antigufi. Al fianco del segretario del Partito Democratico sedeva il presidente dell’Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino, che a inizio conferenza ha rimarcato la “schiavitù” a cui sono sottoposti tanti giovani cronisti dai gruppi editoriali che ricevono finanziamenti pubblici. Molti giornalisti guadagnano meno di 5 mila euro lordi l’anno, poco più di 400 euro al mese, una cifra da povertà assoluta. La descrizione di Iacopino sul cosiddetto “equo compenso” per i giornalisti collaboratori, “barbarie e schiavitù”, è stata stigmatizzata da Renzi. Difficile dar torto a Renzi, perchè la schiavitù è davvero un’altra cosa, se pensiamo all’esperienza vissuta da milioni di persone in parti del mondo più sfortunate dell’Italia. Difficile però dar ragione a Renzi nella semplice confutazione di un’espressione certo iperbolica, ma indicativa di un malessere diffuso. Guadagnare così poco significa semplicemente non poter fare il giornalista, e porta a un sensibile peggioramento dell’informazione in Italia. La qualità dell’informazione è un problema della società, e certo stride con il percorso politico da “rottamatore” di Renzi,  paladino degli outsider del mercato del lavoro, questo silenzio sul precariato giornalistico che sa di difesa corporativa. Visto lo stretto legame tra editoria e politica, sarebbe opportuna un’iniziativa politica che affronti questo problema. Probabilmente in Italia ci sono troppe testate e troppi giornalisti o aspiranti tali, ma permettere un simile sfruttamento in un settore come l’informazione appare miope e ingiusto, ancora di più di chi ne denuncia una inesistente schiavitù. A corredo del mio post condivido alcune riflessioni di una brava giornalista come Ester Castano. Caro Matteo Renzi, è vero, come ha detto Lei oggi, che per un giornalista i 4.920 euro lordi guadagnati in un anno lavorando ogni giorno “non sono schiavitù”. E’ vero. Perché quella retribuzione non è schiavitù, è qualcosa di peggiore: è morte. E’ morte della voglia di scavare sino a trovare la verità, è morte della capacità di scrivere, è morte della passione messa nell’esporre. E’ morte di un lavoro svolto con precisione, senza sbavature e con la narrazione dettagliata dei fatti. E’ morte del mestiere, della professione. E’ morte della persona. Ho vissuto fino a giugno con quei 410 euro al mese, a volte (molte) anche meno. E come me innumerevoli colleghi ad ogni latitudine dello Stivale, isole comprese. Stessa cifra che oggi, caro presidente, alla conferenza di fine anno Lei ha detto non essere “schiavitù”, né “barbarie”. Forse, presidente, non sa cosa significa guadagnare 5 euro lordi ad articolo, e dover andare a fare la spesa comprando il detersivo per lavare i panni. Perchè il più economico costa 4.99, e quell’articolo da 5 euro lordi scritto su ricerche fatte durante un giorno e una notte non copre nemmeno il costo. Per me una delle immagini che più descrive il 2015 dei giornalisti precari, cioè la gran parte, è una collega che non vedevo da quattro anni. In gamba, lavoravamo assieme in una web tv. Ci siamo incontrate per caso in stazione Centrale a Milano: lei era vestita da uomo sandwich e vendeva biglietti andata/ritorno per gli aeroporti di Linate, Bergamo e Malpensa. La collega non è una schiava, è morta. E il carnefice è la barbarie di quello che Lei chiama ‘equo compenso’. Interessante anche questo commento di un’altra giornalista. Rosy Battaglia. ” Il calo complessivo degli occupati nel settore giornalistico italiano è stato del 26,6%, con la forza lavoro giornalistica che si riduce del 12,2% negli ultimi 5 anni e del 5,2% nel solo confronto tra il 2014 e il 2013. 1000 sono i posti di lavoro persi nel solo anno 2014-2015, 3000 nei cinque anni precedenti. 25 mila sono i giornalisti precari che rappresentano, ormai, il 55% della forza attiva nelle redazioni italiane. Più della metà di loro non arriva a 10 mila euro annui. 521 i giornalisti minacciati in Italia nel 2015. Nella classifica di RSF l’Italia è al 73° posto per la libertà d’informazione (anche a causa dello sfruttamento e delle paghe inique che vengono corrisposte ai free lance). Cortesemente qualcuno lo dica al Premier, siamo stanchi di veder mortificata la nostra dignità

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