L’autobiografia di Toni Negri imbarazza la sinistra ma censurarla non ha senso

martedì, 5 gennaio 2016

Sto finendo di leggere con grande interesse le seicento pagine di autobiografia che Toni Negri ha scritto in collaborazione con Girolamo De Michele: “Storia di un comunista” (Ponte alle grazie). Intuisco le ragioni, diciamo così, costituzionali che oggi inducono una brava giornalista come Simonetta Fiori a stroncare questo libro sulle pagine culturali di “La Repubblica”. Ma non riesco a condividerle. Basta il titolo per capire che qui si tratta di prendersela con un nemico storico, un intellettuale che si ritiene abbia provocato gravi danni alla sinistra utilizzando spregiudicatamente il suo notevole bagaglio accademico-scientifico: “L’ego-biografia di Negri che dimentica la Storia. Seicento pagine, nessuna autocritica”.
Eppure l’autobiografia di Negri è una lettura preziosa, per quanto imbarazzante. Rivelatrice di una formazione culturale condivisa con grandi maestri (Chabod, Bobbio) e compagni di strada oggi venerati dalla sinistra ufficiale (Asor Rosa, Cacciari, Tronti, Feltrinelli per non parlare di quel grande operaista dimenticato che fu Raniero Panzieri), cui si sommano relazioni importanti con l’accademia filosofica tedesca e francese. Certo, per quanto di autocritiche non ne manchino, Toni Negri continua a disturbarci parecchio nei suoi richiami enfatici alla violenza proletaria declinata fra insurrezione e espropri, giungendo a deformare in caricatura un’analisi della composizione sociale italiana dal dopoguerra alla fine degli anni settanta che pure è ricca di intuizioni.
Credo che dovremmo leggere questo resoconto di parte con maggiore serenità. E non solo perchè descrive una vita densa, a partire dall’infanzia piena di lutti e dolore, il Veneto conservatore al suo impatto con l’industrializzazione, viaggi e incontri con la nuova gioventù europea, l’università italiana, il Pci, luoghi cruciali come il Petrolchimico di Marghera, personalità ribelli e avventurose scelte di vita, fino alla rivendicazione di quella che Toni Negri evidentemente continua a considerare la “sua” creatura movimentista, quella in cui maggiormente si riconosce: l’Autonomia, non del tutto stroncata con gli arresti del 1979 che chiudono il libro. Come dimostra il fascino che le teorie di Negri sulle “moltitudini” continuano a esercitare fuori dall’Italia nei movimenti sovversivi. Nel libro, se letto senza fobie preventive, si trovano anche rivelazioni storiche interessanti sulla genesi della lotta armata in Italia. I rapporti che si guastano fra Negri e Curcio. La cena col giudice Alessandrini pochi giorni prima del suo omicidio. Il rapporto con altri magistrati nella redazione di “Critica del Diritto”.
Non ho mai militato al fianco di Toni Negri. Ho sempre trovato sbagliato e persecutorio il teorema giudiziario che lo poneva a capo del terrorismo di sinistra in Italia. L’ho conosciuto solo di sfuggita dopo che è uscito di galera e ritornato dalla sua fuga parigina (a questo proposito, il libro contiene una marginale inesattezza: Negri ricorda male, non è vero che fossi stato io a passargli il contratto d’affitto della sede di via Disciplini a Milano, da me frequentata molto prima del suo arrivo, suppongo fosse intestata a Francone Tommei). Ma trovo doveroso fare i conti col suo percorso militante e intellettuale, qui descritto con un’onestà che va riconosciuta anche se ci disturba. La scomunica lascia il tempo che trova.

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