Bravo Mancini! Ripulire gli stadi dal linguaggio del disprezzo è partire con il piede giusto. Vero Tavecchio?

mercoledì, 20 gennaio 2016

Non derubrichiamo a bega da spogliatoio quel che è avvenuto ieri al San Paolo dopo Napoli-Inter. L’allenatore Roberto Mancini che denuncia gli insulti omofobi (“frocio”, “finocchio”) scagliati contro di lui dalla panchina avversaria, e aggiunge che tale linguaggio rende inadatto Maurizio Sarri al mondo del calcio, rappresenta una prima volta importante. Siamo il paese che, appellandosi a una malintesa vocazione popolare indisponibile a lasciarsi imprigionare nella gabbia del “politicamente scorretto”, ha legittimato fin dentro le più alte sedi istituzionali l’incitamento al disprezzo dell’altrui dignità personale. Basti pensare all’assoluzione tributata vergognosamente dal Senato al suo vicepresidente che aveva dato dell'”orango” a una ministra per via del colore della sua pelle.
Lo stadio di calcio è stato finora considerato una sede extraterritoriale -non a caso l’estrema destra razzista si è radicata nelle curve ultràs- dove sarebbe lecito scaricare ogni becera pulsione, quasi si trattasse di un rito liberatorio. Tanto è radicata questa abitudine, che perfino il presidente della Federcalcio, Carlo Tavecchio, resta al suo posto nonostante tutte le offese gergali rivolte contro africani e omosessuali.
Mancini ieri ha detto basta, assumendosi l’onere dell’impopolarità in un ambiente che cercherà di fargliela pagare. Tanto più che Sarri era e resta un personaggio simpatico e di successo. Ma proprio per questo il tecnico dell’Inter va sostenuto in una difficile battaglia culturale di ripulitura del linguaggio pubblico.

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